Usucapione legittima se accompagnata dalla intenzione di comportarsi come proprietario

Il Giudice nomofilattico ritiene che l’animus possidendi non si traduca nella convinzione di essere proprietario, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà. Il compimento di attività negoziali, tese ad ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto, anche in difetto di buona fede, non esclude a priori che il possesso sia utile ai fini dell’usucapione. Cassazione Civile, Ordinanza 27847/11 del 20/12/2011


Cassazione civile, Sezione VI, Ordinanza del 20.12.2011, n. 27847

Svolgimento del processo

che con citazione del 2 maggio 2001, A.G. convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Messina, il Ministero delle Finanze (oggi dell’Economia e delle Finanze) e l’Agenzia del Demanio, chiedendo che venisse riconosciuto l’intervenuto acquisto, per maturata usucapione, di un immobile ubicato in Comune di (OMISSIS), censito in catasto al foglio di mappa 3, part. 400 sub 1^;

che si costituirono le Amministrazioni convenute, producendo copia di tre istanze con le quali S.L. (marito della A.) aveva chiesto all’Intendenza di Finanza l’assegnazione in godimento di detto immobile, e rilevando che in ogni caso il possesso era stato interrotto sia per l’intimazione di rilascio ad opera del Sindaco, sia dal verbale di constatazione formato il 29 novembre 1990 nei confronti dello stesso S.; verbale nel quale si era dato atto dell’abusività dell’occupazione dell’appartamento in questione da parte del S. e del suo nucleo familiare;

che con successiva citazione del 25 giugno 2002, il Ministero delle Finanze e l’Agenzia del Demanio convennero a loro volta in giudizio A.G. e S.L. (già deceduto), chiedendo che fosse accertato che l’immobile dai medesimi occupato era rimasto nella mano pubblica e che la A. fosse condannata alla restituzione in favore dell’Agenzia del Demanio di detto immobile;

che riuniti i giudizi, l’adito Tribunale rigettò la domanda di rivendica del Ministero e dell’Agenzia del Demanio e accolse invece la domanda dell’ A., dichiarando l’intervenuto acquisto a titolo originario in capo alla stessa per maturata prescrizione;

che avverso questa sentenza le Amministrazioni soccombenti proposero appello, cui resistette la A.;

che con sentenza n. 563 del 2 009, depositata il 31 agosto 2009, la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda della A.;

che la Corte ha ritenuto che la fattispecie dovesse essere inquadrata nell’istituto della successione nel possesso, o meglio nella detenzione, essendo l’ A. subentrata al marito L. S. nella detenzione dell’immobile; e che quella del S. fosse detenzione doveva desumersi dalle tre lettere dal medesimo inviate all’Intendenza di Finanza, con le quali chiedeva che gli venisse concesso in godimento il detto immobile;

che in proposito, la Corte ha rilevato che mentre le due lettere del 1977 e del 1979 erano state disconosciute dalla A., altrettanto non era avvenuto con la prima lettera del 1974;

che per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso A.G.A. sulla base di tre motivi;

che l’Avvocatura dello Stato si è costituita per le amministrazioni intimate, ai soli fini della partecipazione alla discussione in pubblica udienza;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ, che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.
Motivi della decisione

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“… Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1140, 1141, 1158 e 2202 cod. civ. e degli artt. 214 e 216 cod. proc. civ., nonchè difetto o quanto meno insufficienza di motivazione. La Corte d’appello, osserva la ricorrente, ha attribuito efficacia ai fini della qualificazione della posizione del S., e quindi di essa ricorrente in quanto succeduta nella medesima posizione, come detenzione e non anche come possesso alla lettera del 1974, con la quale il S. aveva chiesto la concessione in godimento dell’immobile. Tale lettera, peraltro, doveva ritenersi priva di rilievo atteso che sin dall’atto di citazione essa ricorrente aveva allegato, e poi provato nel corso del giudizio di primo grado, di avere iniziato a possedere l’immobile nel 1978. Le altre due lettere, in quanto disconosciute, non potevano avere alcuna efficacia, non avendo formato oggetto di una istanza di verificazione da parte della amministrazioni. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione, sotto altro profilo, degli artt. 1140, 1141 e 1158 cod. civ. e artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè difetto o quanto meno insufficienza di motivazione. La Corte d’appello, sostiene la ricorrente, non ha tenuto conto della prova testimoniale assunta in primo grado, dalla quale emergevano in modo chiaro sia le condizioni di abbandono dell’immobile, sia la signoria di fatto sullo stesso esercitata da essa ricorrente.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia sotto ulteriore aspetto, violazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 cod. civ., nonchè difetto o quanto meno insufficienza di motivazione. La Corte d’appello avrebbe errato altresì nel ritenere che essa ricorrente fosse succeduta nella posizione del marito e che quindi anche essa dovesse essere qualificata come detentrice; in tal modo, infatti, ha omesso di considerare che il possesso utile ai fini dell’usucapione può essere esercitato anche da singole e determinate persone e non collettivamente e indistintamente da una famiglia, impersonalmente considerata; con la conseguenza che ad essa ricorrente avrebbe dovuto essere riconosciuta la qualità di compossessore del bene.

I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

La Corte d’appello ha invero ritenuto che la qualificazione della posizione del S. dovesse essere effettuata sulla base della lettera, con la quale quest’ultimo, nel 1974, ebbe a chiedere all’Intendenza di Finanza la concessione in godimento dell’alloggio.

L’occupazione di detto bene è stata dalla ricorrente collocata a far data dal 1978 ed è riferita ad un autonoma situazione di possesso della ricorrente. Ha dunque errato la Corte d’appello a supporre che la ricorrente sia succeduta al marito in una situazione di detenzione, atteso che la originaria richiesta avrebbe potuto essere vincolante per il solo S., laddove non poteva tenersi conto delle successive comunicazioni in tal senso del medesimo S., stante l’avvenuto disconoscimento da parte della A. di dette lettere e la mancata formulazione dell’istanza di verificazione da parte delle Amministrazioni. In tale contesto, la Corte d’appello avrebbe quindi dovuto procedere alla valutazione della prova testimoniale assunta nel corso del giudizio di primo grado, mentre del tutto priva di rilievo, ai fini della esclusione dell’utilità del possesso ai fini della usucapione, doveva ritenersi la consapevolezza, da parte della A., del fatto che il bene apparteneva ad una pubblica amministrazione. E’ noto, infatti, che l’animus possidendi, necessario all’acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione. Di conseguenza, la consapevolezza di possedere senza titolo, ed il compimento di attività negoziali o di altra natura, finalizzate a ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto o la stabilità sul piano formale della situazione giuridica rispetto ad esso non esclude che il possesso sia utile ai fini dell’usucapione (Cass. n. 10230 del 2002; Cass. n. 2857 del 2006).

L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento del terzo.

Sussistono, pertanto le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio;”. che il Collegio condivide tale proposta di decisione, alla quale del resto non sono state rivolte critiche di sorta;

che il ricorso va pertanto accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Messina;

che al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Messina.

 

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza


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