Progettista e capo cantiere responsabili per il crollo della parete di edificio scolastico, anche se vuoto al momento del misfatto

L’avere contribuito alla causazione dell’evento integra gli estremi del delitto di cui all’art. 434 c.p., ritenuto sussistente anche qualora, al momento del crollo, non vi era nessuno nell’edificio pubblico.  Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. – Sent. del 20.01.2012, n. 2390

Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. – Sent. del 20.01.2012, n. 2390

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Montepulciano con la quale, per quanto qui rileva, N. M.ed E.V. sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 449, co. 1, cod. pen. per avere, il N. quale progettista architettonico e direttore dei lavori e l’E. quale responsabile del cantiere della ditta appaltatrice, per colpa cagionato il crollo della facciata del (…) di Montepulciano, avvenuto in data 16.11.2002 per difetti di costruzione della stessa. Concesse le attenuanti generiche, i due erano stati condannati ad un anno di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore delle costituita parte civile, amministrazione provinciale di Siena.
E’ stato accertato, in fatto, che il crollo era consistito nel completo distacco del rivestimento di mattoni che tamponava la parte esterna di una facciata, composta di tre piani, di uno dei fabbricati componenti il plesso scolastico; la superficie caduta era di circa 100 mt quadri per un’altezza di ca. 10 mt; il crollo era avvenuto poco dopo il temine delle lezioni ed aveva interessato un’area esterna di uno degli edifici, area che era solitamente occupato dai ragazzi durante gli intervalli delle lezioni. La costruzione del complesso era stata voluta dalla Provincia di Siena e per essa dal N., coordinatore del settore LLPP della amministrazione provinciale progettista e direttore di lavori; era stata appaltata alla soc. A. s. r.l. di cui era responsabile E. ed era stata in parte subappaltata alla Costruzioni F. il cui rappresentante e responsabile di cantiere, F. A . è stato ritenuto responsabile del crollo e condannato al pari degli altri due attuali ricorrenti. Quanto alle cause del crollo, l’istruttoria svolta ha consentito di accertare che il distacco della intera parete era avvenuto in quanto il rivestimento di mattoni era stato realizzato dando ai mattoni una base di appoggio inferiore a quella voluta dalle regole dell’arte al fine di ovviare alla sporgenza (di ca. 5 cm) della trave di fondazione rispetto ai pilastri laterali, sporgenza che la direzione dei lavori voleva che non fosse visibile tanto da far demolire la porzione di facciata che già era stata realizzata e che evidenziava la mancanza di allineatura; all’insufficiente appoggio dei mattoni si era aggiunta anche la mancanza di qualsiasi ammorsatura degli stessi nelle parti laterali della facciata, anche esse demolite e rifatte senza ammorsatura per poterle fare combaciare e formare l’esatto angolo.
2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso per cassazione i difensori degli imputati
2.1. L’avv.to E. D. M., per N. deduce: 1) nullità e/o inutilizzabilità della consulenza disposta dal pubblico ministero senza dare avviso all’impresa esecutrice dei lavori e al direttore dei lavori (il ricorrente ing. N. capo dell’ufficio tecnico della provincia di Siena committente e proprietaria del plesso; il ricorrente sottolinea come fosse chiaro fin da subito che, in presenza del crollo di una porzione di un edificio, che indagati non potevano non essere, tra altri, il costruttore e il direttore dei lavori, e richiama il principio espresso dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 307 del 2005) secondo cui la qualità di indagato non dipende dalla iscrizione nel registro degli indagati; sulla eccezione di nullità o inutilizzabilità la sentenza impugnata non ha preso posizione, ma si è limitata a rilevare che le cause e l’entità del crollo erano desumibili aliunde dagli altri elementi raccolti in sede istruttoria; sottolinea che la ricostruzione in fatto dell’episodio, intesa come descrizione fattuale, è in massima parte contenuta nell’accertamento di cui si contesta l’utilizzabilità; 2) difetto di motivazione in quanto la Corte di appello avrebbe del tutto apoditticamente e senza riferimento a qualunque elemento di prova, ritenuto l’esistenza di un vizio di progettazione, la sporgenza di 5 cm. del pilastro di fondazione, addebitale al N. vi è dunque un vizio di motivazione neppure superablle facendo riferimento alla sentenza di primo grado dal momento che quest’ultima aveva escluso una responsabilità progettuale dell’ing. N. e aveva ravvisato solo errori nella fase di realizzazione della stessa; 3) contraddittorietà, manifesta illogicità della sentenza che ha ravvisato la responsabilità del N. per difetto di vigilanza sulla corretta esecuzione del progetto e per aver dato indicazioni erronee sulle modalità di esecuzione, delineando contemporaneamente una responsabilità omissiva e commissiva tra loro incompatibili; travisamento del fatto rispetto alle deposizioni dei testi T. B. e B. ; 4) violazione di legge circa il ritenuto reato di disastro colposo; non vi è stata alcuna compromissione o disintegrazione delle strutture portanti dell’edificio, come necessario (sez. IV 29.4.1994 n. 10162 rv. 200156), in quanto il crollo ha riguardato solo “il parametro esterno della tamponatura della facciata; è mancato anche il pericolo per l’incolumità pubblica, dal momento che, come aveva dichiarato il Preside dell’istituto, la parete non affacciava sull’uscita della scuola ma si trattava di uno spiazzo interno.
2.2 L’avv.to E. F. per E. deduce: 1) nullità per omessa correlazione tra accusa e sentenza; erroneamente la sentenza di appello ha escluso che E. sia stato condannato per omissione di controllo sui lavori di costruzione dell’edificio scolastico, e dunque che vi sia stato il denunciato vizio di mancanza di correlazione tra accusa e sentenza a fronte della contestazione di un reato commissivo per aver realizzato il paramento esterno delle tamponature della facciata con modalità tali da renderlo instabile; 2) violazione di legge e precisamente dell’art. 449 cp per aver ritenuto la sussistenza di tale reato in mancanza di un evento di pericolo concreto per l’incolumità pubblica; per la sussistenza del reato è necessario che sia accertato l’effettivo verificarsi del pericolo per l’incolumità pubblica, pericolo che nella specie non vi è stato essendosi il crollo verificato di sabato quando la scuola era chiusa; è stato erroneamente interpretato ed applicato l’art. 449 come reato di pericolo astratto o presunto; 3) travisamento delle testimonianze rese dai testi B. e Z. circa la qualifica di capocantieri dell’E. ; 4) erronea attribuzione ad E. della responsabilità sul presupposto, smentito dalle risultanze processuali, che egli fosse capocantiere.

Considerato in diritto

1. Deve preliminarmente rilevarsi, non risultando inammissibili i ricorsi e in assenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., che il reato ascritto agli imputati è estinto per intervenuta prescrizione atteso che dal 16.11.2002, data in cui è stato commesso, è ormai decorso il termine massimo di sette anni e mezzo previsto per legge.
L’esame dei ricorsi viene pertanto condotto ai fini della conferma delle statuizioni civili della sentenza, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte che impone al giudice di appello o alla Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, di decidere sull’impugnazione agli effetti civili e di esaminare per tale decisione, i motivi della impugnazione proposta dall’imputato, valutando criticamente la decisione adottata; dalla ritenuta mancanza di prova della innocenza degli imputati non può automaticamente farsi derivare la conferma della condanna al risarcimento dei danni (Cass. 1.3.97 n.1983, C. – rv. 208657; Cass. 9.11.94 n.11211, D. L. – rv.199625).
2.1 ricorsi non meritano accoglimento risultando in parte inammissibili in parte infondati i motivi dedotti.
2.1 Il primo motivo di N. è inammissibile per difetto di specificità; il ricorrente ripropone la questione della nullità della consulenza tecnica del pubblico ministero per mancato avviso agli indagati, lamentando che la corte di appello non abbia preso posizione al riguardo; non tiene conto però che la Corte di appello ha ritenuto irrilevante l’indagine tecnica che si pretende viziata, osservando che le circostanze del crollo emergevano pacificamente da altri elementi di prova quali le fotografie scattate e le testimonianze rese dai testi di polizia giudiziaria, le deposizioni degli altri
testi escussi e le risultanze delle stesse consulenze di parte; a fronte di ciò, il ricorrente, lungi dal dimostrare che l’atto in discussione era indispensabile ai fini del decidere, insiste genericamente nella sua rilevanza.
2.2 II secondo ed il terzo motivo, in quanto riferiti all’accertamento dei fatti, possono essere congiuntamente esaminati. Gli stessi sono inammissibili in quanto la prospettazione è volta a disarticolare la sentenza impugnata incentrandosi su pretese, ma insussistenti, difformità rispetto a quanto accertato nel giudizio di primo grado ovvero sull’analisi di singole frasi della complessa motivazione, estrapolate ed isolate dal contesto di insieme, nel tentativo di dimostrare che quanto si afferma non corrisponde alle risultanze processuali ed integra il vizio di travisamento della prova. Dal primo punto di vista, non vi è contrasto tra l’accertamento compiuto dai giudici dei due gradi di giudizio, che conformemente hanno ritenuto che il crollo dell’edificio sia stato causato da difetti di costruzione; in particolare il rilievo contenuto nella sentenza di appello che “il difetto di ammorsatura dipendeva da un difetto di progettazione” trova conferma nell’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado secondo cui la sporgenza della trave di fondazione rispetto alle travi laterali aveva reso necessario, per non rendere visibile la differenza di livello, non voluto dalla direzione dei lavori, eseguire il rivestimento dando ai mattoni un appoggio minore di quanto normalmente avveniva. Dal secondo punto di vista, non risulta provato il preteso travisamento delle testimonianze rese dai testi T. B. e B. dal momento che le deposizioni testimoniali dei predetti, peraltro non interamente allegate, hanno esattamente il contenuto che viene loro attribuito dalle sentenze di merito, e cioè quanto a quelle di T. e B. , di indicare che le decisioni sulle modalità di realizzazione dell’opera venivano adottate dalla direzione lavori, il che non può che significare, essendo l’ing, N. direttore dei lavori, previa sua informazione ed autorizzazione, e quelle di B. di confermare che la scorretta esecuzione del lavoro, dando ai mattoni un appoggio minore di quanto normalmente avveniva, fu effettuata in conformità e su richiesta della direzione dei lavori, previa demolizione della porzione di lavoro già realizzato sia sulla facciata che in corrispondenza degli angoli.
2.3 Non sussiste la pretesa incompatibilità tra profili di colpa omissivi e commissivi contestati, motivo che viene proposto dalla difesa di E. sotto la veste del difetto di correlazione tra accusa e sentenza; è noto che nei reati colposi non è sempre agevole distinguere tra i casi in cui un determinato comportamento debba essere qualificato quale condotta attiva o, al contrario, quelli in cui lo stesso vada assunto nel genus dell’omissione; molto spesso accade infatti che nella fattispecie concreta “componenti” attive e passive interagiscano tra di loro rendendo così poco agevole l’operazione interpretativa in oggetto; nel caso in cui poi un unico evento venga addebitato a diversi soggetti, è possibile che diverso sia stato l’apporto dei singoli con diversa qualificazione rispetto ad essi del reato come omissivo e commissivo; inoltre la distinzione può ritenersi ancora più sfumata alla luce dell’affermarsi della teoria normativa della colpa che rinviene il disvalore dell’azione colposa nella mancata osservanza del dovere di diligenza in relazione all’attività compiuta e che porta a superare la dicotomia tra azione ed omissione.
Nel caso di specie la condotta contestata agli imputati, chiaramente esposta nel capo di imputazione, è quella di aver contribuito, per colpa, a realizzare la facciata dell’edificio scolastico di cui si tratta con i difetti di costruzione che sono stati causa del crollo della medesima; gli imputati,
per le posizioni da essi rivestite, di cui appresso si dirà, avevano l’obbligo di garantire che l’opera pubblica fosse eseguita secondo le regole della buona tecnica; la violazione di tale dovere, e cioè il riscontrato difetto di progettazione da parte del N. nonché l’autorizzazione da parte sua di
modalità esecutive pericolose e il difetto di vigilanza sulla materiale esecuzione dell’opera da parte di E. ne hanno comportato la responsabilità; gli imputati sono stati condannati esattamente per la condotta attiva colposa loro contestata e cioè quella di aver realizzato un edificio senza il rispetto delle corrette modalità costruttive; il difetto di progettazione o di vigilanza costituiscono le componenti omissive della colpa ma la condotta posta in essere è una condotta attiva e cioè quella appunto della costruzione dell’edificio.
E’ pertarto pienamente corretta la sentenza di appello che ha già chiarito che ad E., come agli altri imputati, è stato contestata la condotta colposa consistita nell’aver realizzato il paramento esterno della tamponatura dell’edificio con difetti costruttivi e che esattamente per questa condotta – e non per difetto di vigilanza – egli, come gli altri, è stato condannato essendosi accertato che esattamente i contestati difetti costruttivi (insufficiente base d’appoggio dei mattoni e difetto di ammorsatura) hanno cagionato il crollo dell’edificio.
2.4. La difesa dei ricorrenti contesta la sussistenza del reato di cui all’art. 449 cod. pen. richiamando da un lato una sentenza di questa Corte (Sez. IV 29.4.1994 n. 10162 rv. 200156) che ha ritenuto necessaria la disintegrazione delle strutture essenziali dell’ edificio, e, dall’altro, la giurisprudenza che richiede necessario un pericolo concreto.
Le censure non sono fondate.
La decisione che viene invocata, assai risalente nel tempo e rimasta sostanzialmente isolata, si riferisce ad una fattispecie del tutto particolare, quella cioè in cui, a seguito di un’esplosione causata dall’accensione del motore di un veicolo, custodito nell’autorimessa di un edificio, da cui
era fuoriuscito G.P.L., erano stati gravemente danneggiati alcuni garages vicini, le cui porte erano state divelte verso l’esterno, e l’appartamento sovrastante; in tale situazione è stata esclusa la sussistenza del reato in questione. La correttezza della valutazione effettuata dalla Corte in detta decisione non consente di recepire anche le affermazioni che vengono riferite nella relativa massima, secondo cui il concetto di crollo, totale o parziale, di una costruzione implica la disintegrazione delle strutture essenziali di essa in modo che la forza di coesione tra i singoli elementi costruttivi venga superata e vinta dalla forza di gravità.
Vengono in tal modo introdotti nella nozione di crollo dei requisiti che non risultano normativamente previsti, atteso che l’art. 434 primo comma del codice penale fa semplice riferimento al crollo di una costruzione, cioè, secondo il significato della parola, ad una caduta violenta ed improvvisa, della costruzione, senza che necessariamente sia richiesta la disintegrazione delle strutture essenziali; nel prevedere espressamente la possibilità che il crollo interessi una parte della costruzione la norma sembra confermare che si può prescindere da un tale requisito.
La difesa di entrambi i ricorrenti sottolinea poi la necessità del pericolo concreto, che nel caso di specie non sarebbe riscontrabile in quanto il cedimento della parete si è verificato di Sabato, quando la scuola era chiusa e nessuno si trovava nel cortile.
E’ pacifico che, come già questa Corte ha avuto modo di precisare (sez. IV 3.3.2000 n. 5820 rv. 216602; sez. I 29.1.2003 n. 47475 rv. 226459), per la sussistenza del delitto di disastro colposo previsto dagli artt. 434 e 449 cod. pen. è necessario che il crollo della costruzione abbia assunto la fisionomia di un disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l’incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, dal momento che il pericolo da esso cagionato deve essere caratterizzato dalla potenzialità di diffondersi ampiamente nello spazio circostante la zona interessata dall’evento, sicché il solo elemento oggettivo del crollo, diversamente da quanto previsto per la contravvenzione di cui all’art. 677 stesso codice, non e’ sufficiente per la configurabilità del delitto in questione. Non e’ dubbio che il delitto ex art. 449 c.p. richieda per la sua configurabilità una concreta situazione di pericolo, da valutarsi “ex ante”, per l’incolumità pubblica; nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero indeterminato di persone: l’effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere accertata in concreto. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno riferito che si è trattato del distacco completo del rivestimento di mattoni che tamponava la parete esterna di una facciata dell’edificio scolastico, interessando l’area antistante la facciata stessa per circa 150 mt; i detriti accumulatisi avevano ricoperto un tratto di circa 50 mt. per un peso di molte tonnellate; l’area era abitualmente frequentata dagli alunni della scuola durante gli intervalli delle lezioni, correttamente valutando la sussistenza del reato contestato e per le proporzioni del crollo e il pericolo per la pubblica incolumità. La qualificazione di grave pericolosità non può venire meno per il fatto che il crollo non abbia provocato per una coincidenza favorevole, danno alle persone, essendo accaduto di sabato a scuola chiusa. Ciò che rileva è che certamente fosse ravvisabile la probabilità della produzione di un danno notevole alle persone.
2.5 Da ultimo resta da valutare la posizione di E. sotto il profilo della qualifica dal medesimo rivestita, atteso che il ricorrente contesta la propria responsabilità sostenendo che gli è stata attribuita sulla base della ritenuta sua qualità di capocantiere, qualità invece insussistente in quanto i testi assunti (lo stesso B. e Z. G., dipendente della FAP) avevano dichiarato che capocantiere era il B.
La censura è infondata. Già la sentenza di primo grado, come noto integrativa di quella di appello, ha chiarito il punto in questione attribuendo ad E. la qualifica di capo cantiere nel senso di “responsabile del cantiere” allestito dalla appaltatrice A., funzione peraltro puntualmente indicata dal capo di imputazione; in particolare tale sentenza ha precisato 5 che B. era presente nel cantiere quale “rappresentante” del prevenuto, era pienamente consapevole delle pericolose modifiche costruttive richieste dalla direzione dei lavori (N. ed aveva messo al corrente E. di tali problematiche. E’ dunque evidente che le testimonianze invocate attribuiscono al B. la qualifica di capocantiere solo sulla base del dato di fatto costituito dalla sua presenza nel cantiere,
ma ciò non toglie che il vero responsabile del cantiere stesso rimanesse E. cui competeva, per la detta qualifica, di controllare ed organizzare l’attività del cantiere finanche rifiutandosi, come sarebbe stato necessario nel caso di specie, di eseguire opere in contrasto con la buona tecnica costruttiva e dunque pericolose.
3. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione. I ricorsi, ai fini civili, devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti, tra loro in solido, alla rifusione in favore della parte civile, amministrazione provinciale di Siena, delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 2.500,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi ai fini civili; condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore della parte civile, amministrazione provinciale di Siena, delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 2.500,00.

Depositata in Cancelleria il 20.01.2012

 

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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