Danni sofferti da alunno in occasione di una gita scolastica. Una chimera la prova liberatoria per albergatore, istituto scolastico e docente.

La Corte di Legittimità ribalta il verdetto dei gradi di merito, ritenendo solidalmente responsabili la struttura ricettiva, la scuola e l’insegnante  per le lesioni riportate da un’alunna che, dopo avere assunto stupefacenti, scavalcava il parapetto e si cimentava in una passeggiata notturna sulla terrazza non illuminata, per poi precipitare nel vuoto. L’Alto Consesso, in termini intuibilmente discutibili, offre una pedante lettura dell’art. 2051 c.c., con conseguente responsabilità in tutte le ipotesi in cui difetti il caso fortuito, rifiutando peraltro di qualificare come abnorme la condotta dell’infortunata. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE III CIVILE, Sentenza 17 gennaio – 8 febbraio 2012, n. 1769.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 17 gennaio – 8 febbraio 2012, n. 1769

(Presidente Petti – Relatore De Stefano)

Svolgimento del processo

1.1. La sedicenne S.Q., mentre si trovava in gita scolastica, nella notte tra il 16 e il 17 marzo 1998 cadde dalla terrazza posta a livello del balcone della stanza al secondo piano dell’albergo “Hotel Mirage” di Firenze – gestito dalla Monteuliveto spa – dove aveva preso alloggio con gli altri undici compagni di classe dell’Istituto tecnico commerciale “Cecilia Deganutti” di Udine tra cui tale M.T. – ed accompagnati dal prof. R.G.

1.2. Ella, in particolare, riferì di avere scavalcato il parapetto in muratura del suo balcone al secondo piano e di essersi inoltrata, in compagnia del T., che le aveva fornito uno spinello poco prima del fatto, nella contigua terrazza a livello, non protetta da alcun parapetto o da spallette o da segnali di pericolo e recante un canale di scolo in prossimità del bordo esterno degli stessi materiali e colori della circostante terrazza; e, non essendosi avvista della mancanza di protezione, ella riferì di essere precipitata nel vuoto da un’altezza di circa 12 metri, riportando gravissime lesioni ed in particolare rimanendo totalmente invalida.

1.3. La Q. citò quindi per il risarcimento dei danni anche non patrimoniali, dapprima dinanzi al tribunale di Udine e poi a quello di Trieste, il Ministero della pubblica istruzione, l’istituto suddetto, la Monteuliveto spa ed i genitori del T., ravvisando la mancanza di controllo in loco e di sorveglianza degli alunni da parte dell’insegnante, le carenze nelle condizioni di sicurezza dell’albergo e quelle educative dei genitori suddetti in ordine all’avvenuta cessione dello spinello.

1.4. I convenuti contestarono tutti la propria responsabilità; di essi: da un lato, il ministero e l’istituto tecnico chiesero, in subordine, la riduzione del risarcimento eventualmente dovuto, in ragione delle percentuali di corresponsabilità degli altri convenuti, ma dispiegarono domande di garanzia nei confronti della Fondiaria spa e della Schweiz. Ass.ni (poi Winterthur ass.ni spa, poi Aurora ass.ni); dal canto suo, la Monteuliveto spa chiamò in garanzia la sua assicuratrice Assitalia spa.

1.5. Il tribunale di trieste, con sentenza n. 396/05 del 14.3.05, rigettò la domanda; e la corte di appello di quel capoluogo ha respinto il gravame, con sentenza n. 375 in data 1.10.09 e notificata il 5.11.09; in particolare, la corte territoriale, per quel che qui ancora rileva e tra l’altro, ha ritenuto:

– che non era pacifica l’ora della caduta in termini tali da configurare il grave ritardo nella prestazione dei soccorsi, in particolare rivalutando le deposizione testimoniali già acquisite;

– che era irrilevante la ricostruzione dell’esatta altezza del parapetto, in quanto volontariamente scavalcato dopo l’accesso ad un lastricato solare non destinato al passaggio, inapplicabile la disciplina in materia di infortuni sul lavoro ed inutile anche un’eventuale segnalazione di pericolo, che non sarebbe stata avvistabile per la tarda ora;

– che la sorveglianza del docente non doveva spingersi ad invadere la “privacy” dei ragazzi e la sua diligenza al controllo del non possesso di spinelli o alla verifica dell’astratta sicurezza delle strutture ospitanti, aperte al largo pubblico e nella fattispecie utilizzate da una scolaresca di ragazzi prossimi alla maggiore età e presumibilmente dotati di un senso del pericolo;

– che la domanda contro i genitori dell’altro ragazzo, sia pure correttamente intesa ex art. 2048 c.c. come relativa ai danni da cessione di stupefacente, non era provata quanto alla stessa lamentata cessione, per impossibilità di stabilire la sostanza assunta e comunque per l’esito negativo degli esami tossicologici;

– che fosse infondato l’appello della Fondiaria, esclusa la ricorrenza nella fattispecie di una clausola compromissoria in senso stretto, anziché soltanto di un patto per perizia contrattuale, nonché escluso il tentativo di suicidio.

1.6. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Q., affidandosi a sei motivi; resistono con controricorso tutte le controparti, tranne la Fondiaria –SAI, il cui difensore deposita procura speciale e specifica, in sede di pubblica udienza, di intervenire sia quale assicuratrice della Q., con posizione peraltro definita per mancata impugnativa delle statuizioni tra le parti, sia quale assicuratrice del Ministero, insistendo in tale veste per il rigetto del ricorso.

1.7. Per la pubblica udienza del 17.1.12, illustrate con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. le rispettive posizioni da parte della ricorrente e della Monteuliveto spa, tutte le parti, tranne quest’ultima, prendono parte alla discussione orale.

Motivi della decisione

2. La Q. sviluppa sei motivi ed in particolare:

2.1. con il primo – di violazione di legge; violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2048 e 2051 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – ella si duole dell’erronea esclusione, da parte della corte territoriale, dell’intrinseca pericolosità del solaio cui si aveva accesso dal parapetto del balcone, dovendo esso qualificarsi come terrazza e riconosciuto privo di spalletta o di segnali di pericolo ed anzi dotato di un canale di scolo costruito in materiale simile alla restante copertura, dal quale la sua caduta era stata accidentale;

2.2. con il secondo – di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo…, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.: la pericolosità della terrazza, l’insidia del canale di scolo e la mancanza di segnali di pericolo – ella censura la valutazione di non pericolosità dello stato dei luoghi, sia quanto alla ritenuta inutilità di una segnalazione di pericolo pur in assenza di valide opere dissuasive, sia quanto alla volontarietà dello scavalcamento del modesto parapetto del balcone, sia quanto alla carenza di luce artificiale come indizio di non praticabilità del lastrico;

2.3. con il terzo – di violazione di legge; violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043, 2048 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale in relazione alla circolare ministeriale 14 ottobre 1992, n. 291 – ella riproduce le stesse censure alla sentenza di primo grado in ordine alla responsabilità del ministero dell’istituto scolastico; a suo dire, esse trovano fondamento nell’omessa preventiva verifica della sicurezza della struttura e nella carente vigilanza sulla condotta degli studenti; e, sul punto, richiama – testualmente riproducendo nel ricorso, in ossequio al principio della sua autosufficienza – ampi stralci della circolare ministeriale, emanata sul punto, che invece la raccomandava; con la conclusione che, essendo venute meno anche le più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina, non poteva affermarsi l’imprevedibilità dell’evento;

2.4. con il quarto – di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: l’ora del fatto -22.30/22.40, ovvero 23.30 – e la (in)tempestività dei soccorsi – ella censura la ricostruzione dell’ora del fatto come operata dalla corte territoriale e soprattutto l’incertezza della collocazione del fatto alle 22.20/22.40 in rapporto alla ritenuta certezza della sua collocazione alle 23.30: sul punto, ella analizza uno ad uno i passaggi motivazionali della corte territoriale per rimarcarne i vizi;

2.5. con il quinto – di violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4: nullità della sentenza per … error in procedendo – ella censura la valutazione di irrilevanza delle circostanze di fatto oggetto delle istanze istruttorie disattese dal giudice di prime cure, tra cui: la richiesta di ordine di esibizione alla Monteuliveto spa di copia conforme agli originali del progetto approvato, dell’autorizzazione sanitaria e dell’agibilità con riferimento allo stato dei luoghi al 16.3.98; la richiesta di ordine di esibizione alla Regione Friuli Venezia Giulia, al Ministero ed all’istituto scolastico convenuti delle circolari in materia di gite scolastiche; una CTU atta a stabilire la conformità della stanza 212 dell’Hotel Mirage alle norme urbanistiche ed antinfortunistiche; una CTU medico-legale sull’infortunata; tutte le prove dirette a provare l’entità del danno subito dall’infortunata anche sotto il profilo esistenziale, assistenziale, del mancato guadagno, etc.

2.6. con il sesto – di violazione di legge; violazione e falsa applicazione dell’art. 2048 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 2, c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo…: lo spinello e la confessione di T. – ella lamenta la mancata considerazione, da parte della corte territoriale, della piena confessione del T. sull’avvenuto consumo di uno spinello di marijuana e della carenza di indicazioni sul tipo e le metodologie degli esami tossicologici eseguiti su di essa ricorrente all’atto del ricovero; e conclude per l’imputabilità proprio all’illecita cessione di quella sostanza stupefacente l’alterazione dell’umore concomitante al gravissimo sinistro.

3. Tutti gli intimati, tranne la Fondiaria-SAI spa (il cui difensore peraltro produce procura notarile ad litem per il presente giudizio di legittimità), resistono con controricorso ed in particolare:

3.1. il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (già della Pubblica Amministrazione) e l’Istituto tecnico commerciale di Stato “Cecilia Deganutti”, con unitario controricorso, contestano dapprima l’ammissibilità del ricorso nella parte in cui riproduce fotografie, grafici e tabelle, per poi prendere partitamente posizione su ciascuno dei motivi: negando che la corte territoriale avesse mai definito pericoloso il lastrico solare; rimarcando anzi la correttezza dell’esclusione della pericolosità in concreto; contestando l’ammissibilità del richiamo – nel terzo motivo – ai corrispondenti motivi di appello; escludendo l’idoneità di qualsiasi ulteriore cautela ad impedire l’evento, riferibile alla volontaria condotta di assunzione di stupefacenti e di scavalcamento del parapetto da parte della studentessa; sottolineando l’affievolimento, col progredire dell’età, dell’obbligo di vigilanza; evidenziando l’adeguatezza della motivazione sulla ricostruzione dell’ora del fatto; contestando il dedotto errore procedurale in ordine alla mancata ammissione delle istanze istruttorie, nonostante l’accurata ponderazione delle risultanze già acquisite; e concludono anche rispondendo, in via subordinata, la domanda di determinare l’entità del risarcimento in proporzione al grado di colpa concorrente e prevalente degli altri convenuti di primo grado, nonché il gravame incidentale condizionato nei confronti di Aurora e Fondiaria spa per essere da queste tenuti indenni di quanto eventualmente fossero condannate a pagare alla Q., ivi comprese le spese legali e di CTU, comunque tenendo conto di quanto già erogato nel corso del giudizio;

3.2. la Monteuliveto spa, prendendo posizione sui soli motivi primo, secondo, quarto e quinto, contesta la qualificazione di terrazza dalla Q. al solaio di copertura da cui ella era caduta, ma soprattutto la pericolosità della stessa ai fini della verificazione dell’evento, ascrivibile alla volontaria condotta dell’infortunata e comunque ad un uso improprio od avventuroso della cosa; nega il vizio motivazionale sulla collocazione temporale dell’evento e quindi sull’esclusione di qualsiasi ritardo nella chiamata dei soccorsi; evidenzia l’inammissibilità del quinto motivo, per la mancata indicazione dei fatti oggetto delle istanze istruttorie, comunque correttamente ritenute irrilevanti per la già raggiunta prova dell’ascrivibilità dell’evento alla condotta volontaria della Q.;

3.3. i coniugi E.T. e A.V., genitori di M.T., lamentano, in via preliminare, l’inammissibilità dei motivi di ricorso, in quanto involgenti tutti una diversa valutazione dei fatti, per poi contestarne comunque la fondatezza, soprattutto per il ruolo complice della Q. e la carenza di qualsiasi responsabilità per colpa educativa dei genitori;

3.4. la Assitalia ass.ni, dal canto suo: quanto al primo motivo, a parte i profili di inammissibilità per investire esso profili di fatto incensurabili in sede di legittimità, nega la negligenza della Monteuliveto, dovendo ascriversi l’evento ad una condotta volontaria della vittima, estrinsecatasi in un uso eccezionale o straordinario del lastrico solare; quanto al secondo, rimarca pure la tardività della deduzione della canaletta di scolo quale ulteriore elemento di insidia; quanto al quarto, nega qualsiasi vizio motivazionale nella ricostruzione dell’ora dell’evento e nell’esclusione della tardività dei soccorsi; quanto al quinto, ne contesta l’ammissibilità – in difetto di specifica indicazione delle circostanze oggetto delle istanze istruttorie ammissibili ma disattese – e la fondatezza, per l’affidamento della corte territoriale sull’irrilevanza di ulteriore istruzione alla stregua della già raggiunta prova dell’esclusiva colpa dell’infortunata;

3.5. La UGF, già Aurora, già Winterthur ass.ni spa, infine, limitando le sue repliche ai motivi che direttamente interessano il Ministero (suo assicurato), si duole preliminarmente della tardività dell’audizione, da parte della Q. e quale causa petendi, della responsabilità contrattuale; prosegue poi escludendo qualunque responsabilità del Ministero, dovendo l’evento ascriversi alla condotta volontaria dell’infortunata, che aveva volontariamente impegnato un lastrico non agibile, mentre nulla di evidentemente anomalo accadeva, quanto agli altri ragazzi, nel resto dell’albergo e sotto idonea attività di sorveglianza di tre professori (oltre il G., anche tali L. e S.); e ricostruisce l’orario dell’evento in conformità a quanto concluso dalla corte territoriale.

4. Ritiene il Collegio che i primi due motivi, congiuntamente considerati e trattati per la loro intima interconnessione, sono fondati.

4.1. Va premesso che:

4.1.1. è giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte che, per la responsabilità da cosa in custodia, è sufficiente un nesso causale tra l’evento e la cosa stessa. In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta; pertanto, tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che è irrilevante), bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità; l’attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi della sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (tra le molte: Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. 25 luglio 2008, n. 20427; Cass. 22 novembre 2009, n. 23939; Cass. 1 aprile 2010, n. 8009; Cass., sez. VI, ord. 11 marzo 2011, n. 5910; Cass. 19 maggio 2011, n. 11016);

4.1.2. In senso analogo, in precedenza, con specifico riferimento alla responsabilità dell’albergatore, si è precisato che la responsabilità dell’albergatore per i danni causati ad un cliente dalle dotazioni di una camera della struttura ricettiva si inquadra nella responsabilità da custodia prevista dall’art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova della sussistenza del nesso causale tra la cosa che ha provocato l’incidente e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale degli oggetti e della condotta dell’albergatore, sul quale incombe, ai fini dell’esclusione di detta responsabilità, l’onere di provare il caso fortuito (Cass. 9 novembre 2005, n. 21684; Cass. 26 novembre 2007, n. 24739);

4.1.3. più specificamente, con riferimento a cose intrinsecamente pericolose anche in rapporto alla possibilità di condotte potenzialmente auto lesive del loro fruitori, si è stabilita la necessità di valutare l’incidenza causale sugli eventi lesivi dell’omessa apposizione si segnalazioni idonee da parte del gestore della stessa conformazione della cosa e della consapevolezza, in rapporto alle circostanze del caso ed alle personali condizioni del danneggiato, per valutare la misura dell’eventuale concorrenza della condotta colposa della vittima, della pericolosità della cosa (Cass. 2 marzo 2011, n. 5086); e la stessa conformazione della cosa, che possa avere indotto il fruitore a confidare incolpevolmente nella sua continuità con caratteristiche tali da escludere gli eventi dannosi prefigurabili ed alla cui prevenzione sembrava destinata ha fondato l’accertamento della responsabilità del custode (è stato il caso di un muretto di recinzione laterale di una strada di montagna, inaspettatamente interrotto proprio nel punto di una curva che dava su di una scarpata: Cass. 22 marzo 2011, n. 6550).

4.2. In applicazione di tali principi al caso di specie:

4.2.1. è pacifico tra le parti che la caduta è avvenuta dalla sommità di un solaio di copertura dell’immobile che ospitava l’albergo, cui si poteva accedere, ad esso essendo totalmente contiguo, scavalcando il parapetto del balcone della camera assegnata alla vittima, parapetto alto tra gli 85 cm ed il metro dall’interno (vedasi pag. 32 sentenza impugnata); ed è pacifico che l’ampio solaio non fosse protetto da idonee spallette o altri mezzi di contenimento, né segnalato da cartelli di pericolo, né illuminato, oltre ad essere caratterizzato da un canale di scolo, in prossimità proprio del suo termine sul vuoto, che costituiva un avvallamento rispetto al piano del solaio stesso;

4.2.2. a giudizio del collegio, sta allora proprio nella facile accessibilità dalla camera della vittima di un solaio con tale caratteristiche l’intrinseca potenziale sua pericolosità per i fruitori di quella: non rilevando affatto che l’accesso sia dovuto ad una condotta volontaria della vittima, che non aveva motivo di rappresentarsi l’insidiosità del manufatto derivante dalla sua conformazione (mancanza di protezione ed anzi avvallamento in prossimità del margine esterno), dalla carenza di segnalazioni e di illuminazione; e dovendo, nella valutazione del nesso causale, escludersi la possibilità di qualificare abnorme o del tutto eccezionale la condotta, per quanto volontaria, di scavalcamento di una protezione di non particolare insuperabilità (non oltre un metro dall’interno) verso un’ampia superficie piana contigua, senza segnalazione non solo e non tanto della sua non destinazione a calpestio, ma soprattutto delle sue caratteristiche suddette;

4.2.3. orbene, elide invero il nesso di causalità tra la cosa e l’evento soltanto una condotta della vittima che rivesta il carattere di una peculiare imprevedibilità e con caratteristiche tali che esse si debbano ritenere eccezionali e cioè manifestamente estranee ad una sequenza causale ordinaria e normale, corrispondente allo sviluppo potenzialmente possibile in un contesto dato secondo l’ id quod plerumque accidit: restando beninteso riservato al giudice del merito l’apprezzamento, tipicamente di fatto, dell’entità dell’apporto causale della condotta della vittima, ove si possa configurare una peculiare sua colpa anche solo per mancata adozione di comportamenti di comune prudenza imposte dallo stato dei luoghi (in casi analoghi, tra le altre, v.: Cass. 8 agosto 2007, n. 17377; Cass. 22 marzo 2011, n. 6550);

4.2.4. francamente incongrue, sia in punto di fatto che di diritto, sono le valutazioni operate dalla corte territoriale: la mancanza di illuminazione aggrava la situazione di pericolosità e non può allora, di per sé sola considerata, fondare l’abnormità della condotta della vittima, tutt’al più solo incidendo sulla successiva valutazione dell’intensità del rischio coscientemente assunto da quest’ultima ai fini della valutazione del concorso causale della sua stessa condotta nella determinazione dell’evento; la notazione della inutilità della segnalazione in rapporto all’ora notturna e quindi alla sua non percepibilità in concreto è contraddittoria ed illogica, visto che un’idonea segnalazione avrebbe dovuto farsi carico della propria visibilità proprio durante le ore notturne, quando c’è la situazione di insidia o pericolo erta ancora maggiore;

4.2.5. allora, non correttamente la corte territoriale esclude, dalle conseguenze di tale intrinseca situazione di pericolosità, il nesso causale tra cosa ed evento: in quanto poteva forse essere percepita dalla vittima la sicura improprietà dell’uso della cosa stessa (essendone esclusa la destinazione a calpestio) e perfino la sua ordinaria non praticabilità per il calpestio, ma non anche la sua estrema pericolosità, atteso che essa dava direttamente sul vuoto, senza protezione, illuminazione ed anzi con una vera e propria insidia verso il margine esterno; in sostanza, doveva configurarsi tutt’altro che abnorme la possibilità di un accesso, non impedito adeguatamente né oggetto di dissuasione con segnali, e di una fruizione oggettivamente pericolosa da parte di chi alloggiava –se non altro – nella camera della vittima.

4.3. È sulla base di tanto che l’esclusione di responsabilità dell’albergatore, gestore dell’edificio, va ritenuta non corretta e che si impone la cassazione della gravata sentenza, affinché il giudice del rinvio rivaluti la fattispecie in ordine alla posizione della società gestrice dell’albergo, alla stregua del seguente principio di diritto: poiché la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, una tale responsabilità non è di per sé esclusa dal fatto volontario della vittima, salva la valutazione della sua condotta ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., consistente nella fruizione del bene custodito, benché non conforme al suo uso ordinario, quando non vi sia ragionevole modo di attendersi una peculiare oggettiva pericolosità dell’uso diverso, ma reso possibile dalla facile accessibilità alla cosa medesima.

5. Anche il terzo motivo, relativo alla responsabilità delle istituzioni scolastiche, è fondato.

5.1. Va al riguardo premesso che:

5.1.1. si è affermato che, in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 cod. civ. grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente per detto insegnante la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9542);

5.1.2. quanto peraltro al caso di danno cagionato dell’alunno a sé medesimo, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’istituto scolastico- l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che – quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico – tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona; pertanto, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnate, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante (per tutte: Cass. Sez. Un. 27 giugno 2002, n. 9346; Cass. 18 novembre 2005, n. 24456; Cass. 31 marzo 2007, n. 8067; Cass. 26 aprile 2010, n. 9906);

5.1.3. più in generale, del resto, l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo a scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorga a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3680); ed è onere della scuola dimostrare in concreto, benché anche solo per presunzioni, che le lesioni sono state conseguenza di una sequenza causale ad essa non imputabile (tra le ultime: Cass. 3 marzo 2010, n. 5067: Cass. 3 febbraio 2011, n. 2559; Cass. 20 aprile 2011, n. 9325), se non anche (come si esprime Cass. 9542 del 2009) quella di avere adottato, in via preventiva, le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare prevedibili situazioni di pericolo favorevoli all’insorgere della serie causale sfociante nella produzione del danno.

5.2. Tali principi vanno applicati alla particolare fattispecie dello svolgimento di una gita scolastica o viaggio di istruzione:

5.2.1. la prestazione di vigilanza dell’istituto, come in concreto espletata dai professori accompagnatori, assume connotati particolari: di certo, il carattere continuo del contatto con gli studenti durante l’intera giornata, comprendente quindi le normali attività quotidiane e proprie della sfera di riservatezza più intima dell’individuo, impone di limitare l’entità e le stesse modalità della vigilanza, affinché non violino oltre il necessario la sfera siddetta; ed un’attività di ispezione continua e prolungata è in radice esclusa, oltre che francamente impossibile, soprattutto quanto alle ampie frazioni di giornata che il singolo alunno trascorre comunque nell’intimità della propria stanza di albergo:

5.2.2. deve al contempo ritenersi sussistente un obbligo di intervento diretto, adeguato ed immediato dinanzi a specifici episodi od eventi, che siano però con immediata plausibilità ricollegabili alla commissione di atti pericolosi o nocivi o auto lesivi: sicché, tranne il caso di un’evidente e manifesta condotta volta a porre in essere tali atti o ad essi seguita (come quella di assunzione di stupefacenti o alcolici), non vi è modo idoneo di prevenirla o di reprimerla.

5.2.3. per dimostrare la carenza di colpa non deve però ritenersi sufficiente quanto appena indicato; proprio perché il rischio che, lasciati in balia di se stessi, i minori possano compiere atti incontrollati e potenzialmente auto lesivi, all’istituzione è imposto un obbligo di diligenza per così dire preventivo, consistente, quanto alla gita scolastica, nella scelta di vettori e di strutture alberghiere che non possano compiere atti incontrollati e potenzialmente autolesivi, all’istituzione è imposto un di diligenza per così dire preventivo, consistente, alla gita scolastica, nella di vettori e di strutture alberghiere che non possano, né al momento della loro scelta, né al momento della loro concreta fruizione, presentare rischi o pericoli per l’incolumità degli alunni;

5.2.4. anche in questo caso con una valutazione da farsi caso per caso in relazione alle circostanze della concreta fattispecie, allora, incombe all’istituzione scolastica la dimostrazione di avere compiuto tali controlli preventivi e di avere impartito le conseguenti istruzioni agli allievi affidati alla sua cura ed alla sua vigilanza.

5.3. In applicazione di tali principi al caso di specie;

5.3.1. non erra la corta territoriale nell’avere escluso già in astratto la responsabilità dei docenti accompagnatori in dipendenza della non adozione di atti di diuturna e prolungata vigilanza sulle condotte dei singoli alunni anche dei non brevi periodi che dovevano essere caratterizzati – come nelle ore notturne o destinate al riposo – dal massimo possibile rispetto della loro riservatezza;

5.3.2. e non erra neppure per avere in concreto escluso la responsabilità per la repressione di condotte di assunzione di stupefacenti, essendo rimasta priva di riscontri probatori affidabili ed obiettivi (anche per l’inammissibilità degli altri mezzi istruttori, confermata anche in questa sede per quanto si dirà in ordine al quinto motivo di ricorso) una complessiva situazione di incontrollata dedizione all’assunzione di alcolici o di stupefacenti, sicché non poteva dirsi attivato, in relazione alle peculiarità del caso concreto, alcun particolare obbligo di intervento specifico di repressione;

5.3.3. erra invece per avere incongruamente escluso l’obbligazione contrattuale di garantire l’incolumità dell’alunno dinanzi alla scelta di una struttura, definendola di per sé idonea sol perché aperta al più largo pubblico e per di più in considerazione della capacità di discernimento che normalmente ci si può attendere da ragazzi prossimi alla maggiore età: infatti, sia al momento della scelta in sede di organizzazione del viaggio ed in tal caso solo sulla base della documentazione disponibile, sia a momento della concreta fruizione ed in tal caso all’esito di una sia pur sommaria valutazione sul posto delle condizioni, l’istituzione deve valutare preliminarmente l’assenza di rischi evidenti o di pericolosità dei beni coinvolti nell’espletamento del viaggio, siano essi quelli di trasporto, siano essi quelli ove gli alunni dovranno alloggiare; solo in tal modo, infatti, l’istituzione può dimostrare di avere tenuto anche una condotta idonea, con valutazione necessariamente ex ante, a garantire la sicurezza dell’alunno pure durante l’espletamento della peculiare attività in cui si estrinseca la gita scolastica.

5.4 In applicazione di- tali principi al caso di specie, la peculiare connotazione almeno della camera della vittima – che con ogni verosomiglianza non poteva essere rilevata al momento della scelta, sulla carta, della struttura alberghiera all’atto dell’organizzazione del viaggio – avrebbe dovuto indurre il personale accompagnatore a rilevare, con un accesso alle camere stesse, il rischio della facile accessibilità al solaio di copertura, vale a dire al lastrico solare percepito come terrazza, per poi adottare misure in concreto idonee alle circostanze: potendo esse, a seconda di queste, fondarsi su di una valutazione di complessiva inaffidabilità della struttura (con rifiuto di alloggiarvi, ricerca di soluzioni alternative anche tramite l’organizzatore o, in caso estremo, rientro anticipato), oppure della sola stanza (con richiesta di immediata sostituzione della medesima con altra priva di analoghe situazioni di pericolosità), ovvero potendosi limitare, in relazione alla capacità di discernimento del singolo ragazzo ivi ospitato, ad impartire adeguati e comprensibili moniti a non adottare specifiche condotte pericolose (come l’avvertimento a non impegnare il solaio di copertura – lastrico solare – terrazza, facilmente accessibile nonostante la sua pericolosità). Anche in tale ipotesi resta beninteso riservato al giudice del merito l’apprezzamento, tipicamente di fatto, dell’entità dell’apporto causale della condotta della vittima, ove si possa configurare una peculiare sua colpa anche solo per mancata adozione di comportamenti di comune prudenza imposta dallo stato dei luoghi.

5. 5. Si impone anche sotto questo aspetto la cassazione della gravata sentenza, .in ordine alla responsabilità dei convenuto Ministero ed istituto scolastico, affinchè la domanda della Q. sia .riesaminata alla stregua del seguente principio di diritto: poiché l’iscrizione a scuola e l’ammissione ad una gita scolastica determinano l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’ istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, all’allievo compete la dimostrazione di aver subito un evento lesivo durante quest’ultima, mentre incombe all’ istituto la prova liberatoria, consistente nella riconducibilità dell’evento lesivo ad una sequenza causale non evitabile e comunque imprevedibile, neppure mediante l’adozione di ogni misura idonea, in relazione alle circostanza, a scongiurare il pericolo di lesioni derivanti dall’uso delle strutture prescelte per lo svolgimento della gita scolastica e tenuto conto delle loro oggettive caratteristiche ; e salva la valutazione dell’ apporto causale della condotta negligente o imprudente della vittima, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.

6. Il quarto motivo è infondato: non sussiste il denunciato vizio motivazionale, avendo la corte territoriale compiutamente esaminato le risultanze delle prove testimoniali, in rapporto a tutti gli altri elementi acquisiti, per valutare come improbabile la collocazione temporale dell’evento alle 22.30 – 22.40, rispetto al più plausibile – e quindi maggiormente verosimile – orario delle 23.30. Al riguardo, neppure l’analitica rappresentazione dei singoli elementi istruttori con l’indicazione delle critiche a ciascuno di essi, operata dalla ricorrente in ricorso, consente di superare la valutazione di congruità della loro comparazione complessiva, non trasformando essa in incongrue o illogiche argomentazioni.

7. Il quinto motivo è, anch’esso, in parte infondato:

– allorquando ci si dolga dell’erroneità della mancata ammissione di mezzi istruttori è indispensabile che, nel ricorso per cassazione, si riportino con esattezza le circostanze che ne erano oggetto e si indichi la sede processuale in cui esse sono state formulate, naturalmente evidenziando adeguatamente i motivi per i quali esse sarebbero state rilevanti e le sedi processuali in cui della mancata ammissione ci si sia doluti già nei competenti gradi di merito (in tal senso, pronunciando il principio ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. Civ.: Cass., sez. VI, ord. 30 luglio 2010, n. 17915): sono allora inammissibili le doglianze sulla mancata ammissione delle prove testimoniali;

– sulla rilevanza di quelle di esibizione e di consulenza tecnica non viene svolta aslcune specifica deduzione del resto, le prime palesano inammissibili per la mancata allegazione – ed a maggior ragione per la mancata prova – del’impossibilità di acquisire aliunde i documenti, ma soprattutto per l’omessa indicazione del loro tenore, sicche la mancata ottemperanza all’ordine di esibizione non potrebbe giammai condurre a ritenere ammessi fatti specifici (con conseguente incensurabilità in cassazione del rigetto da parte del giudice del merito; da ultimo, v. Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, ovvero Cass. 29 ottobre 2010, n. 22196; per le seconde non viene neppure dedotto che le consulenze tecniche avrebbero potuto sopperire a lacune istruttorie non colmabili direttamente dall’onerata, ovvero a contestazioni analitiche delle controparti sulla configurazione dello stato dei luoghi (la cui verifica di conformità o meno alle norme urbanistiche o antinfortunistiche operare alla stregua degli atti già disponibili, ma impregiudicata la valutazione della rilevanza di ogni questione al riguardo) o sul grado di invalidità ed ai postumi derivati all’infortunata (anche stavolta affermando il principio ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c. e quindi dandolo come corrispondente a giurisprudenza del tutto consolidata, questa Corte ha ribadito che la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze: sicché il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi illegittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati: Cass., sez. VI, ord. 8 febbraio 2011, n. 22196).

8. Il sesto motivo è infondato:

8.1. la corte territoriale motiva espressamente sull’impossibilità di stabilire che quanto assunto dalla Q., con il diretto e decisivo coinvolgimento del T., sia stata una sostanza stupefacente, in grado di incidere sulle capacità cognitive o di discernimento della ragazza, considerando sia la confessione del ragazzo, sia l’assenza di riscontri clinici alla dedotta assunzione, come pure l’insufficienza dell’arrossamento degli occhi della Q. e del T., e la mancanza di più precise indicazioni sulle modalità dell’esecuzione degli esami clinici all’atto del ricovero non può che ridondare a danno della danneggiata, atteso il titolo di responsabilità extracontrattuale azionato in questa sede;

8.2. Inoltre, a stretto rigore non si prospetta neppure – e non si offrono elementi probatori idonei – la tesi che la sostanza stupefacente assunta sia stata tale, per qualità e quantità, da offuscare od ottundere i sensi della ragazza o comunque cambio di umore – compatibili con l’adozione di condotte imprudenti e di volontaria assunzione di rischi sproporzionati alla capacità di reazione od alla potenzialità di percezione in rapporto alle condizioni dei luoghi;

8.3. tutto questo esime dall’esame dell’ulteriore questione sul contenuto della responsabilità dei genitori per i fatti illeciti del proprio figlio: ed anche le pretese della Q. nei confronti dei coniugi T. – V. vanno definitivamente qualificate infondate, sia pure, nonostante la confessione del loro figlio M., per carenza di prova adeguata sulle circostanze di fatto dedotte e quindi in applicazione dei principi generali del riparto dell’onere della prova.

9. In conclusione:

9.1. in accoglimento dei primi quattro motivi, la gravata sentenza va cassata, con rinvio alla corte di appello di Trieste in diversa composizione, affiché, fermo il definitivo rigetto delle pretese della Q. mei confronti dei T. – V., riesamini la vicenda alla stregua dei principi di diritto di cui ai precedenti punti 4.3 e 5.5;

9.2. infine, tranne che nei rapporti tra l’odierna ricorrente ed i coniugi T – V., con la presente pronuncia ormai definiti con il definitivo rigetto delle domande della prima nei confronti di costoro, è opportuno rimettere la regolamentazione delle spese dell’intero giudizio, compreso quello di legittimità, al giudice del rinvio; mentre, quanto alle domande della Q. nei confronti dei T. – V., la circostanza di un elemento di fatto a sostegno dell’originaria tesi del coinvolgimento del loro figlio, all’epoca minorenne, consistente nelle sue ammissioni spontanee, integra – ad avviso del Collegio e, beninteso, nonostante non abbia potuto fondare, per quanto argomentato più sopra, alcuna pronuncia di responsabilità – un giusto motivo di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.;

9.3. spetta al giudice del rinvio anche la valutazione della ritualità delle domande di garanzia dispiegate in corso di causa, sia al momento della loro proposizione originaria, sia al tempo della formulazione dei gravami e della determinazione del relativo thema decidendum.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo e rigetta gli altri; cassa, in relazione alle censure accolte, la gravata sentenza e rinvia alla corte di appello di trieste, i diversa composizion, anche per le spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra la Q. e le controparti diverse da E. T. ed A. V.; compensa le spese del giudizio di illegittimità fra S. Q. ed E. T. ed A. V.

 

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza 

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