Reviviscenza delle abrogate tariffe professionali, in attesa del decreto ministeriale previsto dall’art. 9 comma 2, D.L. N° 1 del 2012

Chiamato a pronunciarsi sul diniego di accesso alla documentazione amministrativa, il TAR Calabria prospetta la propria esegesi circa il computo delle spettanze professionali, nella vacatio normativa venutasi a creare a seguito della abrogazione del tariffario di riferimento. “Ritiene il Collegio che – fintanto che non saranno stabiliti i parametri in forza dei quali determinare il compenso professionale – possano continuare ad applicarsi, all’attività processuale svolta, le tariffe professionali precedentemente in vigore (D.M. n. 127 del 2004). Ciò perché il giudice, nel liquidare le spese di lite e, in particolare, gli onorari di difesa, deve procedere, in mancanza di qualsivoglia parametro normativo, in via equitativa: detta equità può ben essere esercitata tramite il riferimento alle precedenti tariffe professionali. Ne consegue che la liquidazione degli onorari di difesa e dei diritti e il rimborso delle spese sarà effettuato impiegando, quale mero parametro, il D.M. n. 127 del 2004, contenente le tariffe precedentemente in vigore, ancorché esso non sia più obbligatorio perché abrogato dal decreto legge n. 1 del 2012“. TAR Calabria, Sez. Iª, Sentenza N° 292 del 16 Marzo 2012.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1491 del 2011, proposto da:
Ditta Guzzetti Tommaso, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Falcone, con domicilio eletto presso Raffaele Bruno in Catanzaro, via Orti N. 1;

contro

U.T.G. – Prefettura di Crotone, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distr.le Catanzaro, domiciliata per legge in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;

per l’annullamento

DEL PROVVEDIMENTO N 18212/11 DI DINIEGO ACCESSO AI DOCUMENTI

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Crotone;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 il dott. Lucia Gizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente notificato, Guzzetti Tommaso impugnava il provvedimento n. 18212 del 9.11.2011, comunicato in data 15.11.2011, con cui il Vice Prefetto di Crotone comunicava il diniego di accesso agli atti relativi alla nota prefettizia contenente informazioni antimafia ostative, e chiedeva che venisse ordinato all’Amministrazione resistente di esibire la documentazione richiesta.

Deduceva parte ricorrente violazione degli artt. 22 e 24 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 8 del regolamento di attuazione n. 352 del 1992, nonché dell’art. 3 del D.M. n. 415 del 1994, in quanto l’istanza di accesso concerneva non già tutte le risultanze istruttorie, ma solamente l’informativa antimafia negativa.

Si costituiva in giudizio la Prefettura di Crotone, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, insistendo per l’infondatezza del ricorso, atteso che l’informativa prefettizia antimafia è documento escluso dall’accesso ex artt. 24, comma 4, legge n. 241 del 1990, e 3 del D.M. n. 415 del 1994, trattandosi si atto relativo alla prevenzione e repressione della criminalità organizzata.

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.

L’art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990 prevede che le singole amministrazioni individuano le categorie di documenti da essi formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso nei casi contemplati dal primo comma dello stesso art. 24, tra cui rientra l’esigenza di salvaguardare “l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità” (lett. C). In attuazione di tale disposto normativo il Ministero dell’interno, con l’art. 2 del decreto 10 maggio 1994, n. 415, recante Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, ha indicato le categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti, tra l’altro, alla sicurezza.

Occorre accertare se nell’ambito applicativo di tale disposizione rientri anche la cosiddetta informativa antimafia oggetto dell’istanza di accesso formulata dalla ricorrente.

Questa sezione ha già avuto modo di affermare, con orientamento che in questa sede si ribadisce, che il suddetto decreto ministeriale “sottrae all’accesso non già la nota prefettizia in sé bensì gli atti istruttori che hanno fornito le informazioni di polizia poste a base del giudizio negativo, di regola non enunciate nella nota prefettizia di comunicazione all’ente locale” (Tar Calabria, Catanzaro, sez. prima, 21 giugno 2007, n. 838; nello stesso senso, tra gli altri, Tar Campania, Salerno, sez. prima, 10 luglio 2007, n. 818).

Sono questi ultimi, infatti, a contenere materiale coperto da “segreto istruttorio” perché afferente ad procedimenti penali in corso ovvero ad accertamenti di polizia di sicurezza che, tra l’altro, possono coinvolgere anche terzi soggetti.

La nota prefettizia, invece, limitandosi ad indicare la mera sussistenza di elementi interdittivi a carico dell’impresa risulta pienamente ostensibile.

Entro i suddetti limiti e, in conformità, del resto, a quanto prospettato nel ricorso, lo stesso deve essere accolto

Viene in considerazione, nella presente fattispecie, l’applicazione del D.M. 10 maggio 1994, n. 415, recante Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il cui comma 2 prevede l’emanazione di uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione di tale diritto in relazione alla esigenza di salvaguardare, tra l’altro, “l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità” (lett. c), ed il cui comma 4 prevede che “Le singole Amministrazioni hanno l’obbligo di individuare, con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2”.

Come già chiarito da questo Tribunale da ultimo con la sentenza n. 1146 del 2011, i criteri per l’attuazione della disposizione che precede sono stati stabiliti con l’art. 8 del D.P.R. 27/06/1992 n. 352, il cui comma 5, lett. c), ha precisato che i documenti amministrativi possono essere sottratti all’accesso quando “riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.

Ma la sottrazione all’accesso, per espressa previsione del medesimo art. 8, comma 5, primo periodo, del DPR n. 352 del 1992, deve avvenire “nell’ambito dei criteri di cui ai commi 2, 3, e 4” e, pertanto, nel rispetto della norma (art. 8 comma 2) secondo cui “I documenti non possono essere sottratti all’accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241. I documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine, le amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso”.

La previsione dell’art. 8, comma 5, lett. c), del D.P.R. n. 352 del 1992 ha trovato specifica attuazione con l’art. 3 del D.M. 10 maggio 1994 n. 415 (modificato con il D.M. 17 novembre 1997 n. 508), la cui lett. b), per quanto qui rileva, esclude dall’accesso “relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relative a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica e all’attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizione di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”.

La sottrazione all’accesso, operata con la previsione regolamentare di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), del D.M. 10 maggio 1994 n. 415 (modificato con il D.M. 17 novembre 1997 n. 508), per quanto già evidenziato da questo Tribunale, deve essere coordinata con la disposizione generale di cui all’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 352 del 1992, che non ammette deroghe all’accesso ai documenti “se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell’art. 24 della legge 7 agosto 1990 n. 241” (cfr da ultimo sentenza Tar Calabria, Catanzaro n. 1146 del 2011).

Invero, qualsiasi conclusione difforme, pregiudicando in via generalizzata il diritto di accesso anche a fronte di situazioni insuscettibili di arrecare alcun significativo “vulnus” agli interessi scolpiti nell’art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990, paleserebbe l’illegittimità della disposizione regolamentare, imponendone la conseguente disapplicazione ad opera del giudice amministrativo (ex plurimis, conf.: Cons. Stato, Sez. V , 10 gennaio 2003 n. 35).

Occorre, quindi, discernere tra la informativa antimafia, generalmente consistente nella mera formula rituale con la quale il Prefetto, sulla base delle risultanze in suo possesso (di regola non esposte al soggetto appaltante), afferma la sussistenza di elementi interdittivi a carico dell’impresa – atto per sua natura pienamente ostensibile – e le risultanze istruttorie “a monte”, cui ha attinto l’Autorità prefettizia per pervenire al giudizio sfavorevole formulato a carico dell’impresa medesima (in tal senso, si veda anche Tar Calabria, Catanzaro, sentenze n. 175 del 2008 e n. 838 del 2007).

In relazione a tali atti istruttori “a monte”, l’accesso va effettivamente escluso per tutte le parti della documentazione in possesso dell’Amministrazione coperte da segreto istruttorio (ai sensi della legge procedurale penale), in quanto afferente a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, oppure se e nella misura in cui coinvolga, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza, ovvero, ancora, ove possano essere addotti specifici motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti – in corso di svolgimento – di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata (conf.: TAR Napoli Sez. V 14 giugno 2006 n. 6985).

Facendo applicazione dei superiori principi al caso di specie, evidenzia il Collegio che il diniego di accesso opposto al ricorrente non appare coerente con le norme della prescelta lettura del dato normativo applicabile.

Ed invero, dagli atti prodotti in giudizio e dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato, si evince che il diniego di accesso alle informazioni prefettizie rilevanti ai sensi dell’art. 10 della legge n. 575 del 1965 viene riferito alle norme legislative e regolamentari sopra scrutinate, senza che al mero richiamo normativo segua alcuna puntualizzazione, in ordine alla idoneità del documento, di cui viene chiesta l’ostensione, a pregiudicare in concreto l’interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico ed alla prevenzione e repressione della criminalità, così come espressamente previsto dall’art. 24 comma 2 lett. c) della legge n. 241 del 1990.

Conseguentemente, la mancata ostensione dell’informativa antimafia ex art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998 nonché di tutta la documentazione ad essa connessa e soggetta a pubblicità per disposizione di legge, in quanto non motivata con riferimento alle concrete ragioni che impediscono la divulgazione del documento, ha pregiudicato il diritto di difesa del ricorrente (art. 24 Cost.), non consentendogli di contestare nel merito le ragioni effettive su cui si fonda il provvedimento immediatamente lesivo – l’informativa prefettizia antimafia – che ha dato luogo alla decisione della società Biomasse Italia Spa di non proseguire il rapporto commerciale in essere.

Pertanto, il ricorso è meritevole di accoglimento e, per l’effetto, va annullato il diniego di accesso per cui è causa, disponendo l’accoglimento dell’istanza di accesso del ricorrente, nei limiti e con le prescrizioni di cui in motivazione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

In proposito, il Collegio osserva quanto segue.

Come noto, prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 1 del 2012, gli “onorari di difesa” venivano liquidati dall’organo giudicante facendo riferimento alle tariffe adottate mediante deliberazione del Consiglio nazionale forense, approvata dal Ministro della Giustizia. L’art. 9, comma 1, del suddetto decreto legge ha abrogato “le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordini stico”. Tuttavia, il medesimo articolo, al comma 2, ha previsto che “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista e’ determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante”. Il suddetto decreto non è ancora stato adottato.

Tanto premesso, ritiene questo Tribunale che, in attesa dell’adozione del decreto ministeriale di cui al comma 2 dell’art. 9 del decreto legge n. 1 del 2012, debba comunque farsi luogo alla liquidazione giudiziale delle spese di lite, comprensive degli onorari di difesa, qualora l’organo giudicante non ritenga di procedere alla loro compensazione ai sensi dell’art. 26 c.p.a., che a sua volta rinvia agli artt. 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c.

In particolare, ritiene il Collegio che – fintanto che non saranno stabiliti i parametri in forza dei quali determinare il compenso professionale – possano continuare ad applicarsi, all’attività processuale svolta, le tariffe professionali precedentemente in vigore (D.M. n. 127 del 2004). Ciò perché il giudice, nel liquidare le spese di lite e, in particolare, gli onorari di difesa, deve procedere, in mancanza di qualsivoglia parametro normativo, in via equitativa: detta equità può ben essere esercitata tramite il riferimento alle precedenti tariffe professionali.

Ne consegue che la liquidazione degli onorari di difesa e dei diritti e il rimborso delle spese sarà effettuato impiegando, quale mero parametro, il D.M. n. 127 del 2004, contenente le tariffe precedentemente in vigore, ancorché esso non sia più obbligatorio perché abrogato dal decreto legge n. 1 del 2012.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento ed ordina al Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Catanzaro, nella persona del Prefetto pro tempore, di consentire, nei limiti e con le prescrizioni di cui in motivazione, l’accesso del ricorrente alla documentazione richiesta.

Condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite, in favore del ricorrente, che liquida in complessivi euro 950,00, oltre rimborso forfettario spese generali, via e cpa come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Concetta Anastasi, Consigliere

Lucia Gizzi, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/03/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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