Termine di decadenza nei giudizi amministrativi decorrente dalla piena cognizione dell’atto gravato, fondata su incontrovertibili elementi oggettivi.

L’Alto Consesso di Legittimità torna ad offrire una lettura rigorosa dell’art. 41 del Codice Amministrativo, ritenendo che la decorrenza del termine per la proposizione del rimedio giurisdizionale deve essere estremamente  rigorosa, e non può fondarsi su mere deduzioni, ancorché sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Il dies a quo, di contro, deve risultare da elementi oggettivi certi, cui deve essere ancorata la verifica giudiziale inerente la tempestività del gravame di legge.  Consiglio di  Stato, Sezione IVª, 28 Maggio 2012, N°  3159.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7681 del 2011, proposto da:
Ministero della Difesa, Agenzia del Demanio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. Renato Verna, Luigi Volpe, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;

nei confronti di

Pro.Difesa Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Annoni, Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso Marco Annoni in Roma, via Udine n. 6;

sul ricorso numero di registro generale 7721 del 2011, proposto da:
Prodifesa Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Felice Eugenio Lorusso, Marco Annoni, con domicilio eletto presso Marco Annoni in Roma, via Udine n. 6;

contro

Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Volpe, Renato Verna, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;

nei confronti di

Ministero della Difesa, Agenzia del Demanio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7681 del 2011:ed al ricorso n. 7721 del 2011

della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari: Sezione I n. 00990/2011, resa tra le parti, concernente REALIZZAZIONE ALLOGGI DI SERVIZIO MILITARI

 

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Bari e di Pro.Difesa Srl e di Comune di Bari e di Ministero della Difesa e di Agenzia del Demanio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Luigi Volpe, Marco Annoni, Felice Eugenio Lorusso, e Vittorio Cesaroni (Avv.St.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con l’appello in esame, il Ministerpo della Difesa e l’Agenzia del Demanio impugnano la sentenza 27 giugno 2011 n. 990, con la quale il TAR per la Puglia, sez. I di Bari, ha in parte dichiarato inammissibile, in parte accolto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dal Comune di Bari contro una pluralità di atti e provvedimenti, riguardanti la realizzazione da parte della società Pro.Difesa s.r.l. di circa mille alloggi di servizio nel territorio comunale (e precisamente nei pressi dell’aeroporto militare di Palese), destinati al personale militare.

La sentenza afferma:

– il ricorso proposto dal Comune di Bari non è da ritenere irricevibile per tardività, posto che “tenuto conto della particolarità della fattispecie, del numero e della complessità tecnico-giuridica degli atti impugnati” deve ritenersi che “al fine del decorso del termine per l’impugnazione del provvedimento, non basta la mera notizia della sua esistenza e del suo dispositivo sfavorevole, ma occorre la piena conoscenza del suo contenuto, da cui deriva la possibilità di percepire che il provvedimento è non solo sfavorevole, ma anche illegittimamente sfavorevole”;

– a tali fini, non possono costituire “prova dell’integrale conoscenza da parte del Comune degli atti posti in essere dal Ministero e dalla società contro interessata”, le “dichiarazioni rese dall’assessore comunale già nel marzo 2010”, non trattandosi di “atti o comportamenti univocamente riferibili” all’amministrazione;

– il ricorso proposto dal Comune di Bari è parzialmente inammissibile in relazione ad atti, pure oggetti di impugnazione, ma che hanno carattere endoprocedimentale (v. pagg. 17 – 18 sent.), nonché inammissibile per difetto di interesse., in relazione al pur impugnato D.M. n. 112/2010 (recante il “regolamento per l’attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l’acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare”);

– ai fini della qualificazione delle “opere destinate alla difesa militare”, la cui realizzazione può avvenire in deroga alle competenze riconosciute alla Regione ed agli Enti Locali in materia di pianificazione urbanistica, occorre fare riferimento, oltre che al profilo soggettivo dell’amministrazione interessata ai lavori, anche alle “caratteristiche oggettive e funzionali dell’opera, la sua effettiva ed in equivoca destinazione alla difesa militare ed il chiaro nesso teleologico che a questa la ricolleghi”. Pertanto, se è “giustificato che le opere destinate alla difesa nazionale seguano, per loro natura, un regime urbanistico differenziato rispetto alla generalità delle opere pubbliche statali”, tuttavia “deve sempre vigilarsi sul presupposto che si tratti realmente di opere destinate alla difesa nazionale, e non di opere di altra natura artificiosamente definite tali, al solo fine di sottrarle alla disciplina urbanistica propria delle opere pubbliche statali ordinarie”;

– tra le opere militari destinate alla difesa nazionale rientrano, ai sensi dell’art. 231, co. 4, d. lgs. n. 66/2010, anche “gli alloggi di servizio per il personale militare realizzate su aree ubicate all’interno di basi, impianti, installazioni militari o posti al loro diretto e funzionale servizio”. Questi ultimi sono individuabili come quelli, secondo la sentenza, destinati a “far fronte, in concreto, alle esigenze abitative di categorie di personale istituzionalmente e di fatto soggette ad una maggiore mobilità rispetto ad altri dipendenti”; al contrario, “gli immobili non assegnati in specifica connessione con concrete esigenze di servizio non possono essere qualificati come alloggi di servizio, ai fini dell’applicazione della relativa disciplina speciale”;

– inoltre, “gli alloggi di servizio si caratterizzano per l’appartenenza allo Stato o ad enti pubblici, per essere normalmente oggetto di concessione o di locazione in favore del personale destinatario, nel limite di tempo in cui il personale stesso è in attività di servizio ovvero presta servizio nella sede in cui si trova l’alloggio assegnato”.

Alla luce dei principi ora esposti, la sentenza appellata ha ritenuto, per le ragioni debitamente esposte alle pagg. 25 ss., che “l’intervento progettato dal Ministero della Difesa e dalla società controinteressata eccede i limiti posti dalla normativa vigente”, tra l’altro sia in riferimento al requisito della proprietà pubblica degli immobili, sia con riferimento al nesso oggettivo di strumentalità, sia con riferimento alla stabile destinazione ad esigenze abitative del personale delle Forze Armate.

Avverso tale decisione, le amministrazioni statali appellanti – descritte le vicende relative alla realizzazione degli alloggi di servizio (ricordati anche gli interventi in sede consultiva dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari e del Consiglio di Stato, con parere 11 maggio 2009 n. 1096/09), propongono i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, stante l’irricevibilità per tardività del ricorso proposto dal Comune di Bari “notificato solamente in data 18 novembre 2010”, mentre in data 22 marzo 2010 l’Assessore all’urbanistica, mediante comunicato web, esprimeva tutto il proprio dissenso nei confronti dell’iniziativa ritenuta “oscura e a dir poco problematica dal punto di vista urbanistico e amministrativo”. Inoltre, depongono per la tardività del gravame le due note (24 marzo 2010 n. 14/2010 e 7 maggio 2010 n. 22) inviate dalla società Pro.Difesa all’amministrazione comunale;

b) error in iudicando; illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla ritenuta “inconciliabilità dell’intervento con la fattispecie delle infrastrutture militari”, mentre “la costruzione di alloggi di servizio militari e dunque l’avvio di un progetto edificatorio a stampo residenziale non contrasta affatto con la sottoposizione dello stesso al regime previsto per le infrastrutture militari”, né esorbita dall’alveo dei compiti istituzionalmente demandati al Ministero della Difesa. Né, inoltre., è possibile sostenere, alla luce del contenuto del programma negoziale de quo, come invece vuole la sentenza impugnata, che vi sarebbe “un intervento di edilizia agevolata fittiziamente occultato sotto le vesti della costruzione di alloggi di servizio destinati al personale militare”; ciò in quanto (v. pagg. 11-17 appello) appare “criptica e lacunosa” e fortemente restrittiva del “dato letterale dell’art. 5, comma 1 legge n. 497/78”, la ritenuta “inconsistenza del nesso di strumentalità dei realizzandi alloggi di servizio, sotto il duplice profilo della genericità dell’asservimento della futura opera al Presidio di Bari e della edificazione della stessa su aree esterne alle basi militari. A tal fine, giova, tra l’altro, ricordare che “il diritto di proprietà transita all’Agenzia del Demanio sin dal momento della sottoscrizione dell’atto di cessione della quota superficiaria al soggetto interessato”.

Si è costituito in giudizio il Comune di Bari (che ha tra l’altro depositato ampia memoria difensiva datata 25 ottobre 2011), il quale ha, preliminarmente, eccepito l’inammissibilità dell’appello:

– perché, ad eccezione del motivo riferito alla presunta irricevibilità del ricorso in I grado, “generico e sommariamente espositivo del punto di vista della P.A.” (v. pagg. 23 – 25 memoria);

– per omessa notifica ad autorità evocata nel giudizio di I grado (il Comitato misto paritetico Stato – Regione, ex art. 3 l. n. 898/1976).

Inoltre, il Comune di Bari ha riproposto i motivi assorbiti dalla sentenza di I grado (pagg. 60 – 79), sia proposti con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, sia con il ricorso per motivi aggiunti. Infine, ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

E’ intervenuta in giudizio la società Pro.Difesa s.r.l..

All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

 

 

2. Avverso la citata sentenza n. 990/2011 del TAR per la Puglia ha altresì proposto appello la soc. Pro.Difesa s.r.l., proprietaria dei terreni in Bari, destinati dal Piano regolatore ad “aree per le sedi ed attrezzature militari” e soggetto realizzatore delle unità abitative da destinare esclusivamente al personale militare, la quale ha proposto i seguenti motivi di impugnazione:

a2) illegittimità per travisamento ed erronea presupposizione in fatto ed in diritto; incongruità, illogicità e contradditto0rietà della motivazione; ingiustizia manifesta; in primo luogo, poichè il ricorso del Comune di Bari è irricevibile per tardività, posto che, tra l’altro, la piena conoscenza dell’atto impugnato si concretizza con la cognizione dei suoi elementi essenziali;

b2) inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva e carenza di interesse; poiché il Comune di Bari “difetta di qualsiasi potestà e/o competenza relativa all’accertamento della conformità edilizia ed urbanistica dell’intervento in questione”, poiché “ i realizzandi alloggi insisteranno su suolo attualmente privato, ma che prima dell’avvio del progetto verrà trasferito al demanio dello Stato, e saranno assoggettati ad un vincolo reale di destinazione militare ex art. 2645-ter cod. civ.”;

c2) illegittimità per violazione ed erronea applicazione dell’art. 2 DPR 18 aprile 994 n. 383; art. 3 l. n. 898/1976; art. 5 l. n. 497/1998; art. 2, co. 627, l. n. 244/2007; illegittimità per macroscopico travisamento dei presupposti in fatto e in diritto; difetto e comunque erroneità, incongruità, perplessità, manifesta illogicità della motivazione; contraddittorietà (pagg. 22 – 72 appello).

Anche nel presente giudizio si è costituito il Comune di Bari (che ha tra l’altro depositato ampia memoria difensiva datata 28 ottobre 2011), il quale ha, preliminarmente, eccepito l’inammissibilità dell’appello per omessa notifica ad autorità evocata nel giudizio di I grado (il Comitato misto paritetico Stato – Regione, ex art. 3 l. n. 898/1976).

Inoltre, il Comune di Bari ha riproposto i motivi assorbiti dalla sentenza di I grado (pagg. 62 – 77), sia proposti con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, sia con il ricorso per motivi aggiunti. Infine, ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Sono intervenuti ad adiuvandum il Ministero della Difesa e l’Agenzia del Demanio.

All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

3. Il Collegio deve in primo luogo procedere, ai sensi dell’art. 96, co. 1, C.p.a., alla riunione degli appelli, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

4. Il Collegio deve quindi esaminare, stante la priorità logica, l’eccezione con la quale il Comune di Bari denuncia l’inammissibilità di ambedue gli appelli per non essere stati gli stessi notificati ad una autorità evocata nel giudizio di I grado (il Comitato misto paritetico Stato – Regione, costituito ex art. 3 l. n. 898/1976).

L’eccezione non è tale da comportare la prospettata inammissibilità delle impugnazioni, posto che l’art. 95 C.p.a. espressamente dispone che “l’impugnazione deve essere notificata a pena di inammissibilità nei termini previsti dall’art. 92 ad almeno una delle parti interessate a contraddire” (co. 2), ponendosi in difetto un eventuale problema di integrazione del contraddittorio (co. 3).

Allo stesso modo (e con riferimento alle cause inscindibili) provvede l’art. 331 c.p.c., richiamando in tale ipotesi la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio (Cass. civ., sez. lav., 16 aprile 2008 n. 9977).

 

 

5. Gli appelli sono ambedue fondati e devono essere, pertanto, accolti, con conseguente riforma della sentenza impugnata, in relazione ai motivi (rispettivamente, sub a) e sub a1) dell’esposizione in fatto), motivi con i quali, censurando la sentenza appellata, si ripropone l’eccezione di irricevibilità per tardività del ricorso proposto in I grado dal Comune di Bari (e del successivo ricorso per motivi aggiunti).

Giova ricordare che, ai sensi dell’art. 21, primo comma, l. n. 1034/1971, in precedenza applicabile, “il ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi, entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l’interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l’obbligo di integrare le notifiche con le ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale”.

Attualmente, l’art. 41 Cpa, (co. 2) prevede che “qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge.”.

Il successivo art. 43, co. 1, Cpa prevede inoltre che “i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini”.

Quanto al concetto di “piena conoscenza” dell’atto lesivo, lo stesso, anche con riferimento alla previgente disciplina, non deve essere inteso quale “conoscenza piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale.

Ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di “piena conoscenza” – il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale – è la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.

Ed infatti, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma), invece la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi.

In tali sensi, è rilevante osservare che l’ordinamento prevede l’istituto dei “motivi aggiunti”, per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento di proposizione del ricorso ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta.

La previsione dell’istituto dei motivi aggiunti (nella formulazione dei medesimi anteriore al nuovo e distinto ricorso per motivi aggiunti, poi introdotto dalla l. n. 205/2000) comprova la fondatezza dell’interpretazione resa della “piena conoscenza” dell’atto oggetto di impugnazione.

Ed infatti, se tale “piena conoscenza” dovesse essere intesa come “conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale, ricorrendone l’esperibilità (forse) solo nel caso di atto endoprocedimentale completamente ignoto all’atto di proposizione del ricorso introduttivo del giudizio. Se così si ricostruisse la fattispecie, il termine decadenziale dovrebbe decorrere una sola volta, individuandosi come dies a quo, appunto, il giorno di “integrale” conoscenza di tutti gli atti lesivi.

In altre parole, solo l’assenza dell’istituto dei motivi aggiunti consentirebbe di interpretare la “piena conoscenza” come conoscenza integrale dell’atto impugnabile e degli atti endoprocedimentali ad esso preordinati, poiché in questo (ipotetico) caso si produrrebbe – diversamente opinando – un vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto il soggetto che si reputa leso dall’atto si troverebbe compresso tra un termine decadenziale che corre ed una impossibilità di conoscenza integrale dell’atto, e quindi di completa e consapevole articolazione di una linea difensiva.

Al contrario, la previsione dei cd. motivi aggiunti comprova ex se che la “piena conoscenza” indicata dal legislatore come determinatrice del dies a quo della decorrenza del termine di proposizione del ricorso giurisdizionale, non può che essere intesa se non come quella che consenta all’interessato, di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione, e che quindi rende pienamente ammissibile – quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire – l’azione in sede giurisdizionale.

Ogni aspetto attinente al contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, ritenuto lesivo, ovvero di atti endoprocedimentali ritenuti illegittimi, incide su profili di legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, e quindi sui presupposti argomentativi della domanda di annullamento.

Ma, come si è detto, la possibilità di sottoporre al giudice ulteriori motivi di doglianza, sui quali fondare e/o rafforzare la domanda di annullamento, non è preclusa dall’ordinamento, proprio per il tramite della previsione dei citati motivi aggiunti.

Tale soluzione prescelta dal legislatore rende compatibili:

– da un lato, il diritto alla effettività ed immediatezza della tutela giurisdizionale, consentendo un immediato “contatto” tra il soggetto che si ritiene leso dall’atto di esercizio del potere amministrativo ed il giudice, per il tramite di una tempestiva proposizione del ricorso e dell’eventuale domanda cautelare. Peraltro, occorre ricordare che in tal modo può essere chiesto al giudice di ordinare all’amministrazione il deposito di ulteriori atti del procedimento (proprio dalla conoscenza dei quali può scaturire l’esigenza di proporre motivi aggiunti), consentendosi in tal modo di integrare, come si è sopra esposto, la domanda originariamente proposta, laddove emergano nuovi profili di (asserita) illegittimità, e quindi di conseguente doglianza;

– dall’altro, l’interesse pubblico alla certezza e stabilizzazione delle situazioni giuridiche come conformate dall’esercizio di potere amministrativo, funzionalizzato appunto alla cura dell’interesse pubblico.

Proprio per queste ragioni, la soluzione prescelta dall’ordinamento risulta pienamente coerente con le esigenze espresse dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare dal suo art. 6, in base al quale “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”, e dal suo art. 13, in base al quale “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo innanzi ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.

Quanto sin qui esposto costituisce un dato acquisito della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex plurimis, sez. III, 19 settembre 2011 n. 5268; sez. VI, 28 aprile 2010 n. 2439; sez. IV, 19 luglio 2007 n. 4072 e 29 luglio 2008 n. 3750) ed è stato, anche di recente, ribadito dalla giurisprudenza della Sezione, con le sentenze – medio tempore pubblicate – 2 aprile 2012 nn. 1957 e 1958, dalle quali (e dalle conclusioni cui le stesse pervengono) il Collegio non ritiene sussistano ragioni per discostarsi.

Occorre aggiungere, a quanto sin qui esposto, che la verifica della “piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte del ricorrente, ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Essa deve risultare incontrovertibilmente da elementi oggettivi, ai quali il giudice deve riferirsi, nell’esercizio del suo potere di verifica di ufficio della eventuale irricevibilità del ricorso, o che devono essere rigorosamente indicati dalla parte che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio.

Nel caso di specie, il Comune di Bari ha avuto piena conoscenza – nei termini sopra esposti – degli atti impugnati fin dal 22 marzo 2010, allorchè l’Assessore all’urbanistica di detto Comune, con comunicato web (v. doc. 1.8 prod. Pro.Difesa), nell’esprimere ampiamente il proprio dissenso, ha dato dimostrazione di una piena consapevolezza dell’esistenza degli atti lesivi, nei termini in cui gli stessi potessero essere assunti come lesivi degli interessi di pianificazione urbanistico-edilizia dell’ente.

Dalla lettura di tale comunicato si evince sia la conoscenza di un progetto (che si assume presentato pubblicamente in Bari il 18 marzo 2010) “di realizzazione di case per il personale militare”; sia la localizzazione del medesimo (posto che si contesta l’idoneità dell’area sotto il profilo della sua “destinazione urbanistica”), sia il numero degli alloggi, sia la sua idoneità ad essere ricondotto alle “procedure previste per la realizzazione di infrastrutture militari”.

Inoltre, con successiva nota 24 marzo 20210 n. 014/2010 (v. doc. 1.9 prod. Pro.Difesa), la stessa società Pro.Difesa, proprio prendendo spunto dal suddetto comunicato, provvedeva a fornire anche al Comune di Bari, nella persona del Sindaco e degli Assessori, ampie informazioni in ordine al progetto di realizzazione di alloggi per militari.

Al Comune è stata inoltre inviata la ulteriore nota 7 maggio 2010 n. 022/2010, sostanzialmente confermativa della precedente.

Né può sostenersi (in disparte ogni considerazione della conoscenza successivamente intervenuta per effetto delle note inviate dalla soc. Pro.Difesa), che il comunicato dell’Assessore all’Urbanistica non è ex se riferibile all’amministrazione comunale, posto che esso dimostra, al contrario, piena conoscenza da parte di un organo dell’amministrazione, direttamente competente nella materia nell’ambito della quale si collocano (ed incidono) gli atti da impugnare e con riferimento alla quale si radica l’interesse dell’amministrazione comunale ad impugnarli.

D’altra parte, la stessa sentenza appellata, lungi dall’escludere qualsivoglia conoscenza degli atti (poi) oggetto di impugnazione, perviene al rigetto dell’eccezione di tardività “tenuto conto della particolarità della fattispecie, del numero e della complessità tecnico-giuridica degli atti impugnati”.

Alla luce degli atti esposti, risulta confermata la piena conoscenza (nei sensi sopra esposti) degli atti lesivi e la tardività del ricorso notificato dal Comune di Bari solo nel novembre 2010, dovendosi quindi riformare, sul punto, la sentenza impugnata.

Per le ragioni sin qui esposte, gli appelli devono essere accolti, per i motivi precisati, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi proposti; pertanto, in riforma della sentenza appellata, deve essere dichiarata l’irricevibilità per tardività del ricorso proposto dal Comune di Bari ed instaurativo del giudizio di I grado, oltre che del conseguente ricorso per motivi aggiunti.

L’accoglimento degli appelli per le ragioni esposte rende inammissibili gli appelli incidentali condizionati proposti dal Comune di Bari.

Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sugli appelli proposti da Ministero della Difesa ed Agenzia del Demanio (n. 7681/2011 r.g.) e da Pro.Difesa s.r.l. (n. 7721/2011 r.g.):

a) riunisce gli appelli;

b) accoglie gli appelli, nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara irricevibile per tardività il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il ricorso per motivi aggiunti, entrambi proposti dal Comune di Bari;

c) dichiara inammissibili gli appelli incidentali proposti dal Comune di Bari;

d) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Gaetano Trotta, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/05/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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