La reciprocità delle condotte contrarie ai doveri matrimoniali preclude la pronuncia di addebito a carico del singolo coniuge

Per l’Alto Consesso di Legittimità, la domanda di addebito proposta dal coniuge nell’ambito del giudizio di separazione presuppone, ai fini dell’accoglimento, la prova del nesso causale tra i comportamenti ascritti alla controparte ed il fallimento del matrimonio. Allorquando entrambi i comportamenti serbati dai coniugi presentino caratteri di astratta intollerabilità (infedeltà da una parte, ripetuto abbandono del tetto coniugale dall’altra), ma nessuno dei due risulta aver cagionato la impossibilità di proseguire la convivenza, le domande di addebito sono destinate a reciproca reiezione (Corte di Cassazione, Sezione Iª Civile,  Sentenza 23 Agosto 2012, N° 14610).

Corte di Cassazione Sezione Prima Civile – Sentenza del 23.08.2012, N° 14610

Presidente e Relatore Di Palma

Svolgimento del processo
1. – RT ed AF contrassero matrimonio concordatario in Fiesole (FI) il (…).
Dall’unione nacquero i figli A in data (…), e G , in data (…).
2. Con ricorso del 7 gennaio 2002, il F. chiese al Tribunale di Salerno di pronunciare la separazione personale dei coniugi, T. addebitandola alla T. Costituitasi, quest’ultima chiese parimenti separazione con addebito al marito.
Il Tribunale adito ammessa ed assunta la prova testimoniale articolata dalla T ed acquisite informazioni dalla Guardia di finanza – con la sentenza n. 1571/2007 del 22 giugno 2007, pronunziò la separazione dei coniugi; affidò il figlio minore G alla madre, disciplinando l’esercizio del diritto di visita del padre; determinò l’assegno mensile a carico del F in complessivi € 5.000,00,
di cui € 1.500,00 per mantenimento della moglie ed € 3.500,00 per il mantenimento dei figli; assegnò la casa familiare – sita in (…), via (…), alla T.
3. Avverso tale sentenza la T propose appello principale dinanzi alla Corte d’Appello di Salerno, insistendo, tra l’altro, per la richiesta di addebito della separazione al marito, per l’aumento della misura dell’assegno di mantenimento e per l’assegnazione della casa familiare sita in (…) alla via (…). Costituitosi, il F propose appello incidentale insistendo , tra l’altro, per la richiesta di addebito della separazione alla moglie, per l’ammissione della prova testimoniale dallo stesso dedotta e non ammessa nel giudizio di primo grado e per la riduzione dell’assegno di mantenimento, tenuto conto che il figlio G viveva ormai da parecchi anni presso di lui e che la figlia A viveva autonomamente a Firenze. La Corte adita ammessa ed assunta la prova testimoniale articolata dalle parti – con la sentenza n. 145/ 10 del 27 aprile 2010, in accoglimento per quanto di ragione di entrambi gli appelli ed in parziale riforma della decisione impugnata, affidò il figlio minore G ad entrambi l genitori con collocazione presso il padre, disciplinando l’esercizio del diritto di visita della madre; determinò l’assegno mensile a carico del F per il mantenimento della moglie in € 5.000,00. In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte di Salerno:
A) ha, innanzitutto, respinto le reciproche domande di addebito della separazione, osservando che:
Al) l’assunta prova testimoniale non ha condotto alla prova certa della responsabilità della separazione all’uno o all’altro coniuge, in quanto i testimoni indotti dalla T «hanno ribadito quanto già dichiarato in primo grado sulla condotta contraria ai doveri di fedeltà tenuta dal resistente fin dai primi tempi del matrimonio, e per oltre venti anni antecedenti la richiesta di separazione giudiziale», mentre i testimoni indotti dal F «hanno sottolineato le ricorrenti crisi coniugali, caratterizzate dall’allontanamento della Signora T dalla casa coniugale per tornare a vivere presso la madre»;
A2) poiché per la dichiarazione di addebito della separazione è necessaria la prova della sussistenza del nesso causale tra comportamenti addebitati ed il fallimento del matrimonio, «non può affermarsi, nella fattispecie, che il comportamento dell’uno o dell’altro dei coniugi abbia determinato l’intollerabilità della convivenza»: infatti, «Il contrasto tra le dichiarazioni dei testi escussi sul punto (si confronti, ad esempio, la testimonianza della Signora GF sorella dell’appellato, la quale ha riferito di un primo allontanamento ingiustificato dell’appellante dalla casa coniugale fin dal 1990 e prima che risultassero riferite infedeltà del coniuge, Così la testimonianza della Signora PA che ha invece attribuito quell’allontanamento a problemi collegati all’abitazione coniugale, quali difetti del sistema di riscaldamento e ragioni di sicurezza, ed ha riferito di una condotta dell’appellante assolutamente dedita alla famiglia, nonostante le numerose infedeltà del coniuge, impedisce di ritenere raggiunta la prova che l’intollerabilità della convivenza sia da attribuirsi all’uno o all’altro dei coniugi. Al contrario, dall’insieme delle dichiarazioni rese dai testi emerge che fin dai primissimi tempi il matrimonio delle parti è stato caratterizzato da separazioni di fatto e da riappacificazioni; che la coppia ha vissuto per poco tempo in una vera e propria casa coniugale presso l’ abitazione dei genitori della moglie; che il primo allontanamento dell’appellante dalla casa coniugale (dove per qualche tempo rimase il solo marito, che successivamente andò a convivere con la propria madre, prima di raggiungere la moglie presso l’abitazione della suocera) risale all ‘ anno 1990, prima che sorgessero, a quanto risulta, giacché la prima relazione extraconiugale dell’appellato è collocata dalla stessa appellante nell’anno 1991 – situazioni ricollegabili alla condotta del marito; che non è dato conoscere le effettive ragioni di tale allontanamento, momento che alcuni testi lo definiscono ingiustificato ed altri lo ricollegano a situazioni igieniche ovvero alle condizioni dell’ impianto di riscaldamento di quell’abitazione; che, comunque, la stessa appellante riconduce i suoi allontanamenti dalle case coniugali (anche da quella di piazza (…) di (…) a problematiche connesse alle condizioni degli immobili, ossia a situazioni che, in un ordinario contesto familiare, vengono normalmente affrontate senza ricorrere alla separazione o allo smembramento del nucleo familiare; che, nonostante i ripetuti tradimenti, l’appellante ha sistematicamente optato per la riconciliazione; che non risulta dimostrato che il comportamento del marito abbia reso intollerabile la convivenza, con il passare del tempo e la ripetizione delle infedeltà, che anzi depone nel senso contrario il fatto che la separazione sia stata chiesta dal marito»;
B) quanto alla questione dell’assegno mantenimento da corrispondere alla T ha osservato:
«Le circostanze acquisite depongono per una sensibile disparità di reddito tra le parti, per un tenore di vita agiato in costanza di matrimonio, per una insufficienza di reddito proprio dell’appellante.
Posto che non è in discussione il diritto dell’appellante all’assegno di mantenimento, sicuramente la misura va congruamente incrementata rispetto alla somma di € 1.500,00 fissata dal tribunale, obiettivamente inidonea a consentire il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della pur travagliata convivenza coniugale.
Appare congruo, fissare pertanto, la misura del mantenimento mensile a carico dell’ appellato ed in favore dell’ appellante in € 5.000,00 mensili, in considerazione della durata ultraventennale del matrimonio, dell’ elevato tenore di vita goduto nel corso della vita matrimoniale e della evidente disparità reddituale dei coniugi».
4. Avverso tale sentenza AF ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.
Resiste, con controricorso illustrato da memoria la RT a quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su tre motivi, cui resiste con controricorso, il F.
5. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, i ricorsi principale ed incidentale, proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
2. Con il primo motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.c. e 156 c.c. 1 e 2 comma nonché insufficiente ed illogica motivazione in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.»), il ricorrente principale critica la sentenza impugnata (cfr.,supra, Svolgimento del processo, n. 3, lettera B) anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno innanzitutto omesso di considerare che il F aveva contestato fin dall’inizio la spettanza di un assegno di mantenimento in favore della moglie, tenuto conto del cospicuo patrimonio della stessa, derivantele dalle eredità dei suoi genitori; b) hanno del tutto omesso di considerare e di porre a comparazione la situazione reddituale e patrimoniale di entrambi i coniugi, limitandosi ad affermare in modo del tutto apodittico e generico una pretesa disparità reddituale delle parti, un tenore di vita agiato condotto in costanza di matrimonio ed un insufficienza di reddito della T
c) hanno omesso di porre a base di tali affermazioni le prove dedotte, ed inspiegabilmente non assunte, dal F.
Con il secondo motivo (con cui deduce: «Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma I n. 3»), il ricorrente principale critica ancora la sentenza impugnata e – sulla premessa che la T aveva sempre chiesto, in corso di causa ed anche in grado d’appello, che l’ assegno complessivo di mantenimento per sé e per i due figli fosse aumentato da € 5.000,00 ad € 10.329,14 sostiene che i Giudici a quibus, determinando l’assegno di mantenimento per la sola moglie in € 5.000,00, sarebbero incorsi nel vizio di ultrapetizione, perché la somma richiesta dalla T ammonterebbe in realtà ad € 3.443,00 (€ 10.329,14 : 3 = € 3.443,05).
Con il primo motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’ art. 143 c. c., 2 o comma, e art. 151 c.c. secondo comma in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.»), la ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 3, lettera A), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che l Giudici a quibus hanno
erroneamente affermato che essa avrebbe “tollerato” le pacifiche, ripetute ed ostentate infedeltà coniugali del marito, mentre avrebbero dovuto e potuto agevolmente pervenire alla conclusione che proprio tali infedeltà sono state, di per se sole, la reale causa della separazione.
Con il secondo motivo (con cui deduce: «Violazione dell’art. 156 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.pc»),la ricorrente incidentale critica ancora la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 3, lettera B), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici dell’appello, nel quantificare l’assegno di mantenimento nella misura di € 5.000,00 mensili in suo favore – a fronte di una richiesta di € 10.329,14, da considerare concernente la sola moglie e non anche questa ed i due figli – hanno del tutto omesso di considerare la durata ultraventennale del matrimonio, le «enormi potenzialità economiche patrimoniali» del F e l’elevato e provato tenore di vita condotto in costanza di matrimonio, ed hanno omesso inoltre di considerare la situazione di sostanziale nullatenenza della stessa ricorrente.
Con il terzo motivo (con cui deduce: «Violazione dell’art. 155 e 155-sexìes c.c. legge 54/06 in relazione all’art. 360»), la ricorrente incidentale critica infine la sentenza impugnata, denunciando la violazione, da parte dei Giudici a quibus, dell’art. 155-sexìes, primo comma, cod. civ., per non aver disposto l’audizione del figlio minore G prima di decidere sull’affidamento condiviso dello stesso.
4. Preliminarmente, per ragioni di priorità logico-giuridica, deve essere esaminato il primo motivo del ricorso incidentale, concernente le critiche alla sentenza impugnata, nella parte in cui ha respinto l’appello della T per il mancato accoglimento della domanda di addebito della separazione al F.
Il motivo è inammissibile.
La ratio decidendi della sentenza, sul punto, sta in ciò, che la Corte di Salerno ha respinto (anche) l’ impugnazione della T individuando due distinti comportamenti dei coniugi contrari ai doveri derivanti dal matrimonio ed astrattamente idonei ad integrare ragioni di addebitabilità della separazione – i plurimi allontanamenti della T dalla casa familiare, contrari al dovere della coabitazione, ed i plurimi “tradimenti” del F contrari al dovere di fedeltà – valutando tali comportamenti tenuti da entrambi i coniugi nel corso della convivenza nel più ampio contesto della lunga vita coniugale e pervenendo alla conclusione che, siccome per la dichiarazione di addebito della separazione è necessaria la prova del nesso di sussistenza causale tra i comportamenti addebitati ed il fallimento del matrimonio, «non può che affermarsi, nella fattispecie, il comportamento dell’uno o dell’altro dei coniugi abbia determinato l’intollerabilità della convivenza».
Tale ratio decidendi, poi, è sorretta da un’ampia e minuziosa analisi delle singole prove testimoniali assunte e da una valutazione complessiva delle stesse effettuata con motivazione congrua e corretta sul piano logico- giuridico. In particolare, la Corte ha affermato: «Legittimamente il Tribunale, pertanto, non ha accolto la domanda di addebito, infedeltà del F non potendosi escludere che le infedeltà del F., pur di regola sufficienti a determinare l ‘ addebito della separazione, non abbiano, in concreto, determinato la crisi coniugale, già in atto fin dall’anno 1990, epoca dell’abbandono da parte della signora T della casa coniugale»; in altri termini, ha ribadito, che non è stata raggiunta la prova del nesso causale (esclusivo) tra infedeltà del F e intollerabilità della convivenza, proprio perché già prima di tali infedeltà la T aveva tenuto comportamenti contrari al dovere di coabitazione. Orbene, a ben vedere, il motivo in esame, lungi dal
censurare specificamente detta ratio decidendi e la relativa ampia motivazione testualmente riprodotta, è inammissibilmente volto a provocare una nuova valutazione delle prove testimoniali assunte preclusa in questa sede, per di più limitatamente al comportamento del F cioè al di fuori del complessivo contesto preso in considerazione dai Giudici dell’appello, i quali hanno fatto riferimento ai comportamenti tenuti da entrambi i coniugi.
4.1. Parimenti inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, è il terzo motivo del ricorso incidentale.
Il figlio G, infatti – nato il (…) ha medio tempore raggiunto la maggiore età in data (…), sicché il denunciato error in procedendo, ove anche per mera ipotesi sussistente, non ha alcuna rilevanza ai fini di un affidamento che non deve più essere disposto.
5. – Meritano, invece, accoglimento il primo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, con i quali le parti criticano la sentenza impugnata – ovviamente da opposti punti di vista – nella parte in cui ha statuito in ordine all’assegno di mantenimento determinato in favore della T .
La motivazione della sentenza è infatti, sul punto, meramente assertiva e del tutto insufficiente.
Secondo i consolidati principi enunciati più volte da questa Corte : a) al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, come indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita tenuto dai coniugi durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando altresì la disponibilità patrimoniali dell’onerato; b) a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, la conduzione di stile di vita e uno particolarmente agiato e lussuoso), dovendo anche, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse disponibilità monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e nell’ esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacità reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno mantenimento (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 9915 del 2007 e 18547 del 2006); d) la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento a favore dell’altro coniuge non può che essere operata sul reddito netto e non già su quello lordo, poiché in costanza di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul reddito netto ed ad esso rapporta ogni possibilità di spesa (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 9719 del 2010); e) al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili finanziarie, essendo sufficiente una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 23051 del 2007).
Nella specie, in sostanziale violazione di tali principi, la Corte di Salerno ha omesso di motivare e – ove ritualmente richiesta, come del resto deducono ambedue le parti di accertare: la reale situazione economico- patrimoniale di ciascuno dei coniugi, limitandosi invece ad affermare senza alcuna specificazione che«Le circostanze acquisite depongono per una sensibile disparità di reddito tra le parti, per una insufficienza di reddito proprio dell’ appellante » e per una «evidente disparità reddituale dei coniugi»; quale fosse il reale tenore di vita tenuto dai coniugi durante l’ultraventennale durata del matrimonio, limitandosi a qualificare tale tenore di vita – altrettanto genericamente – ora «agiato» ora «elevato». Mancano, perciò, del tutto, nella motivazione della sentenza impugnata, i necessari elementi di riferimento ai quali ancorare la spettanza che il ricorrente principale, contrariamente a quanto affermato dai Giudici a quibus (<<Posto che non è in discussione il diritto dell’appellante all’assegno di mantenimento»), afferma di aver negato e l’entità dell’assegno di mantenimento richiesto dalla T.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione ai due motivi accolti e la relativa causa deve essere rinviata alla stessa Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, la quale provvederà ad eliminare i su rilevati vizi sulla base dei richiamati principi di diritto ed a regolare le spese del presente grado del giudizio. Resta, all’evidenza, assorbito il secondo motivo del ricorso principale, che attiene ad una specifica critica in ordine all’entità dell’assegno di mantenimento stabilito dalla Corte salernitana,
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibili primo ed il terzo motivo del ricorso incidentale; accoglie il primo del ricorso principale assorbito il secondo, ed il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione.

Depositata in Cancelleria il 23.08.2012

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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