IL Giudice amministrativo non può sostituirsi alle Amministrazioni Indipendenti nella disamina degli atti impugnati, con la sola eccezione del sindacato sulle sanzioni pecuniarie.

Chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di una sanzione irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Alto Consesso Amministrativo, ribadito il pieno sindacato giurisdizionale, anche in rapporto all’esercizio di discrezionalità tecnica, opera un distinguo per le controversie afferenti le Autorità Indipendenti. Per queste ultime,  stante la specifica competenza, posizione di indipendenza ed i poteri esclusivi spettanti alle medesime, non si può ipotizzare una potestà sostitutiva al contenuto dell’atto gravato, da parte del giudice, salvo che per le sanzioni pecuniarie. L’esame degli atti assunti dalle A.I. resta pertanto subordinato ad un triplice criterio cognitivo: a) corretta rappresentazione dei fatti, in base a valutazione sia degli elementi di prova raccolti dall’Autorità Garante che delle prove a difesa fornite dalle imprese interessate (Cass. civ. SS.UU., 29.4.2005, n. 8882); b) coerenza e attendibilità dell’istruttoria espletata, nonché delle conseguenti iniziative, indirizzate a reprimere le condotte risultate devianti e ad assicurare il ripristino di corrette regole di mercato; congruità e ragionevolezza della motivazione in base a parametri di comune esperienza, con riferimento a tutte le figure sintomatiche di eccesso di potere (Cons. St., sez. VI, 23.4.2002, n. 2199); c) sussistenza e corretta applicazione, o meno, di regole tecniche, la cui verifica richieda apposite conoscenze specialistiche, ma – in considerazione della già ricordata, peculiare posizione di indipendenza dell’Autorità Garante – senza alcun potere sostitutivo, ove non esattamente riscontrabili ma frutto di un apprezzamento complesso [Consiglio di Stato, Sezione VIª, 21/05/2013, Sentenza N° 2722].

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2575 del 2012, proposto dalla società Saint – Gobain Ppc Italia Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Grassani, Andrea Torazzi e Nico Moravia, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Fassa Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati Patrizia Parenti, Michele Lucchini Guastalla, Bruno Inzitari e Sandro Trevisanato, con domicilio eletto presso la prima in Roma, via Federico Cesi, 21;

per la riforma della sentenza del t.a.r. lazio – roma, sezione i, n. 10180/2011, resa tra le parti, concernente sanzione amministrativa pecunaria per pratica commerciale scorretta;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato e di Fassa Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Grassani, Lucchini e l’avvocato dello Stato Fiorentino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

 

FATTO

Con atto di appello n. 2575/12, notificato il 23.3.2012, è stata impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I, n. 10180/11 del 24.12.2011 (che non risulta notificata), con la quale veniva respinto il ricorso proposto dalla società Saint Gobain Ppc Italia s.p.a. (già Bpb Italia s.p.a.; di seguito: Bpb), per l’annullamento dell’atto sanzionatorio n. 21297 (proc. n. A383), emesso il 30.6.2010 dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato (AGCM) per abuso di posizione dominante, nel mercato geografico rilevante della produzione e commercializzazione del cartongesso, a danno dell’impresa – potenzialmente concorrente – Fassa s.p.a.. A fini di contrasto e di sanzione per la condotta rilevata, si imponeva alla citata società Saint Gobain il pagamento di una somma pari ad €. 2.175.787,00, con ingiunzione di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi.

Con la citata sentenza il TAR del Lazio riteneva sussistente l’impianto sanzionatorio sopra sintetizzato, in primo luogo sotto il profilo dell’individuazione del mercato geografico rilevante: data l’alta incidenza dei costi di trasporto sul totale dei costi di produzione del cartongesso, infatti, il raggio distributivo massimo del prodotto sarebbe identificabile con una distanza pari a circa 500 chilometri dallo stabilimento, a sua volta da localizzare a poche decine di chilometri dalla cava; nessuna contraddizione, inoltre, sarebbe stata ravvisabile al riguardo nella comunicazione di avvio del procedimento.

Quanto alla posizione di dominanza nel mercato della Saint Gobain, l’Autorità avrebbe condotto uno studio attento ed analitico, valutando la struttura del mercato e le quote riferibili ai due “competitors” Knauf e Lfg, con conclusiva valutazione della quota di Bpb nel mercato italiano in percentuale compresa fra il 40 e il 50%.

In tale situazione, le condotte abusive contestate dall’Autorità si sarebbero concretizzate in una “complessa e articolata strategia escludente, tesa ad impedire, o quanto meno fortemente ostacolare e dunque ritardare l’entrata nel mercato del cartongesso di un nuovo, temibile concorrente quale Fassa”. Tali intenti sarebbero stati perseguiti con manovre sia dirette che indirette: le prime, concernenti l’acquisto della cava di Calliano e l’interessamento per l’acquisto – poi concluso da Fassa, ma a prezzi superiori – di terreni gessiferi siti in Moncalvo; le seconde, tramite sostegno a soggetti terzi, che proponevano azioni civili per asseriti diritti di prelazione su altri terreni e ricorsi amministrativi avverso una variante urbanistica, finalizzata a rendere possibile la realizzazione dell’impianto produttivo di Fassa s.p.a. nello stesso Comune di Calliano. Di tali circostanze – contestate da controparte – sarebbero stati forniti puntuali riscontri istruttori, anche attraverso documenti, atti a dimostrare le preoccupazioni insorte nei concorrenti per le iniziative di Fassa ed i controlli su tali iniziative posti in essere da Saint Gobain. In esito all’azione di contrasto espletata, poi, sarebbe sensibilmente aumentata la quotazione dei terreni gessiferi della zona, con conclusiva interruzione della trattativa avviata da Fassa per uno di tali terreni e acquisto del medesimo da parte di Saint Gobain, a prezzo maggiorato, benchè in assenza di reale necessità di disporre del materiale ivi estratto (essendo quello già posseduto sufficiente per i successivi 40 anni).

Fassa s.p.a., a sua volta, si sarebbe vista costretta all’acquisto di altri terreni, sempre per importi sovrastimati, e sarebbe incorsa, peraltro, in iniziative giudiziarie di terzi, assistiti da un professionista associato allo studio del legale milanese di Saint Gobain, con conclusiva ritenuta logicità e coerenza della determinazione dell’Autorità, anche sotto gli ulteriori profili contestati dalla società ricorrente.

In sede di appello, la medesima società ribadiva le seguenti argomentazioni difensive, già prospettate nel precedente grado di giudizio:

I) errata definizione del mercato rilevante, essendo stato illogicamente posto al centro del mercato il Comune di Calliano, con erronea individuazione dei relativi confini entro un raggio di 500 chilometri, mentre il 30% delle vendite di cartongesso avverrebbe ad una distanza superiore; in ogni caso, poi, la definizione del mercato avrebbe dovuto precedere la valutazione dell’abuso e non viceversa;

II) modifica della definizione di mercato rilevante in corso d’opera e lesione del contraddittorio, essendo emerso solo al termine dell’istruttoria il mercato rilevante prefigurato dall’Autorità, mentre la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe lasciato intendere che detto mercato fosse quello nazionale, con conseguente violazione del contraddittorio e del diritto di difesa dell’appellante;

III) errato riconoscimento di posizione dominante di Bpb; eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà e ingiustizia manifesta, essendo state attribuite a Bpb quote di mercato sovrastimate, con ulteriori erronei presupposti riferiti a diverse circostanze, quali la disponibilità di cave o, l’appartenenza ad un gruppo multinazionale leader e con individuazione della soglia di dominanza al 50% delle quote di mercato, omettendo di effettuare fondamentali verifiche istruttorie, che avrebbero rivelato il carattere fuorviante dell’arbitrario limite, fissato con riferimento al territorio compreso nei 500 km dal Comune di Calliano; limiti più realistici avrebbero invece consentito di affermare l’assenza di posizione dominante di Bpb (nel raggio di 750 km., infatti, quest’ultima risulterebbe terza, dopo Knauf e Lafarge): quanto sopra, con ulteriore illegittimo ricorso a presunzioni, per ritenere che la posizione di BPB risulterebbe comunque preminente, anche con quote di mercato inferiori al 50% ;

IV) inesistenza delle condotte abusive, riferite alla intromissione di Bpb nelle trattative fra l’ing. Giorgio Rosmino e la società Fassa, per la vendita di una cava di gesso a Calliano, alla promozione di azioni civili e amministrative contro Fassa, nonché all’ulteriore intromissione nelle trattative che Fassa aveva intavolato con l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, circa l’acquisto di terreni gessiferi in località Moncalvo: quanto ai rapporti con l’ing. Rosmino, infatti, la mancata conclusione sarebbe dipesa dai temporeggiamenti di Fassa per oltre due anni, con conclusivo giudizio arbitrale che disponeva la restituzione dell’anticipo, ma non anche il pagamento della penale, mentre Bpb avrebbe già da tempo manifestato l’intenzione di realizzare un terzo stabilimento per la costruzione di lastre di cartongesso, corrispondendo per questo all’ing. Rosmino un prezzo tutt’altro che incongruo, come asserito da controparte; altra documentazione citata dimostrerebbe, inoltre, solo la legittima preoccupazione per l’ingresso sul mercato di un concorrente, senza che a tale preoccupazione corrispondesse necessariamente l’intenzione di danneggiare il nuovo arrivato; i procedimenti civili e amministrativi, infine, sarebbero dipesi dalla “campagna di acquisti” di terreni da parte di Fassa, anche con riferimento a terreni che l’ing. Rosmino avrebbe promesso a Bpb; buona parte della popolazione di Calliano, d’altra parte, sarebbe insorta “di fronte alla prospettiva di un insediamento produttivo di dimensioni, impatto visivo ed ambientale enormi”, da parte di Fassa, con ulteriore contestazione dei rapporti (comunque di minimo rilievo economico) intercorrenti fra Bpb e alcuni ricorrenti; quanto all’asserita intromissione di Bpb nelle trattative con l’Istituto Diocesano, poi, sarebbe vero al contrario il ritiro della società da ogni trattativa, ben 26 mesi prima dell’acquisto da parte di Fassa;

V) insussistenza attuale della posizione dominante di Bpb, ancora eccesso di potere sotto vari profili, tenuto conto dell’intervenuta modifica strutturale del mercato e della riduzione delle quote di mercato di Bpb, ormai scese al 32% nel 2010 e al 28% nel 2011;

VI) errata quantificazione della sanzione; error in iudicando, violazione o falsa applicazione dell’art. 15 della legge n. 287/1990 e dell’art. 11 della legge n. 689/1981; violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di proporzionalità ed ingiustizia manifesta, in quanto l’entità della sanzione sarebbe eccessiva rispetto al fatturato di Bpb nel mercato rilevante: fatturato, peraltro, la cui entità non è stata mai richiesta nel corso dell’istruttoria ed in rapporto al quale la sanzione comminata rappresenterebbe una percentuale – incoerente e sproporzionata – del 7%, senza tenere conto del “ravvedimento operoso” di Bpb e dell’effettiva, intervenuta apertura di uno stabilimento a Calliano da parte di Fassa.

Quest’ultima, costituitasi in giudizio, formulava ampie ed analitiche controdeduzioni, con dettagliato resoconto delle iniziative di Bpb per ostacolarne l’ingresso nel mercato del cartongesso ed eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello, in quanto privo di specifiche censure avverso i capi della sentenza appellata.

Tutte le argomentazioni, in precedenza sintetizzate, sono state poi ulteriormente trattate e approfondite dalle parti costituite in giudizio con ampie memorie difensive e su tali basi, nell’udienza del 12 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Le questioni sottoposte all’esame del Collegio investono un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per abuso di posizione dominante e presuppongono un sintetico richiamo all’ambito di esercizio – ed ai conseguenti limiti – del sindacato giurisdizionale di legittimità sull’operato delle cosiddette Autorità indipendenti.

Le Autorità hanno natura amministrative e sono soggette al principio di legalità ed a quello della riserva di legge per il relativo funzionamento, quest’ultimo caratterizzato da ampi margini di discrezionalità tecnica ed assoggettato alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, prima ex art. 33 L. n. 287/1990, poi, con decorrenza 16 settembre 2010, ex art. 133, comma 1, lettera l) del codice del processo amministrativo (c.p.a.), approvato con d.lgs. n. 104/2010.

Il sindacato giurisdizionale è contenuto sul piano della legittimità e non anche del merito, tranne che per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie, ex art. 134, comma 1, lettera c) del medesimo codice.

Circa i limiti dell’ordinario sindacato di legittimità, la giurisprudenza è concorde nel riconoscere al riguardo quelli riconducibili ai noti profili sintomatici dell’eccesso di potere, che circoscrivono il giudizio sugli atti discrezionali (cfr. in tal senso Cass. civ. SS.UU., 29.4.2005, n. 8882; Cons. St., sez. VI, 21.9.2007, n. 4888, 10.5.2007, n. 2244, e 1.10.2002, n. 5105), in coerenza con le regole tecniche e le competenze scientifiche, che rientrano nel bagaglio di conoscenze specialistiche, proprie di ciascuna Autorità.

In ordine all’apprezzamento – condotto in base a dette competenze ed insindacabile nel merito – occorre pertanto un’ulteriore riflessione, intesa a coordinare l’evoluzione giurisprudenziale, in materia di sindacato di legittimità sugli atti discrezionali, con le peculiari esigenze del giudizio su provvedimenti delle citate autorità Garanti.

In via generale, infatti, è ormai pacificamente affermata la cognizione piena del Giudice Amministrativo anche in rapporto all’esercizio di discrezionalità tecnica, dovendosi essa esercitare in rapporto a fatti che devono risultare sussistenti, a seguito delle acquisizioni probatorie emerse nel corso del procedimento.

In tale ottica – ed in applicazione del principio di effettività della tutela delle situazioni soggettive protette, rilevanti a livello comunitario (quale principio imposto anche dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, promossa dal Consiglio d’Europa nel 1950) – se è vero che il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione, è anche vero che il medesimo Giudice non può esimersi anche dal valutare l’eventuale manifesta erroneità dell’apprezzamento dell’Amministrazione stessa.

A differenza di quanto previsto in rapporto alla cosiddetta discrezionalità amministrativa, corrispondente alla scelta della soluzione ritenuta più opportuna, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico (adeguatamente bilanciato con ogni altro interesse rilevante), nel caso concreto, ove debba esercitarsi una discrezionalità tecnica l’esercizio del potere può richiedere in effetti non solo una scelta di opportunità, ma anche l’esatta valutazione di un fatto secondo i criteri di determinate scienze o tecniche.

Il sindacato di legittimità del giudice, in tale ultima fattispecie, si estrinseca nella possibilità di accertare se l’atto si ponga al di fuori dell’ambito di esattezza o attendibilità, non risultando rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia (cfr. Cons. St., sez IV, 13 ottobre 2003, n. 6201).

L’indirizzo sopra sintetizzato si è tradotto nelle formule, di norma utilizzate dalla giurisprudenza, secondo le quali l’esercizio della discrezionalità tecnica deve rispondere ai dati concreti, deve essere logico e non arbitrario.

L’orientamento giurisprudenziale indicato mira a garantire un giudizio coerente con i principi, di cui agli articoli 24, 111 e 113 Cost , nonché 6, par.1, CEDU. In tale ottica è necessario che la pretesa fatta valere in giudizio trovi, “se fondata, la sua concreta soddisfazione” (Corte costituzionale, sent. n. 63 in data 1° aprile 1982), che il giudice abbia una cognizione estesa a tutte le questioni di fatto e di diritto (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Albert et Le Compte c. Belgio, par. 29, 10 febbraio 1983) e che il controllo giurisdizionale su un atto amministrativo non sia limitato alla compatibilità di esso con la norma attributiva del potere (Corte europea dei diritti dell’uomo, Obermeier c. Austria, par 70, 28 giugno 1990).

Per i provvedimenti delle Autorità Garanti, tuttavia, l’evoluzione della giurisprudenza in materia di sindacato sugli atti discrezionali non può non incontrare una delimitazione almeno in parte diversa, tenuto conto della specifica competenza, della posizione di indipendenza e dei poteri esclusivi, spettanti alle medesime: non è consentito per il giudice l’esercizio di un potere sostitutivo, salvo come già ricordato per le sanzioni pecuniarie, sulle quali è consentito dalla legge un controllo più penetrante; come osservato dalla giurisprudenza, infatti, il giudizio dell’Autorità trova come parametri di riferimento non regole scientifiche non opinabili, ma valutazioni, anche di natura prognostica, a carattere economico, sociologico, o comunque non ripercorribile in base a dati univoci (cfr., per il principio, Cons. St., sez. VI, nn. 2199/2002, 5156/2002, 926/2004, 6152/2005; Cons. St., sez. III, 25.3.2013, n. 1645).

Premesso quanto sopra in ordine ai parametri di riferimento per il presente giudizio, il Collegio deve ripercorrere le ragioni del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado, alla luce delle ragioni esposte nella sentenza, nonché delle argomentazioni difensive ribadite in sede di appello, o rappresentate in tale sede dalle controparti.

A quest’ultimo riguardo deve essere respinta, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata da controparte per assenza di censure sulla sentenza gravata.

Infatti, l’atto di appello non si è limitato a a riproporre le censure di primo grado, ma contiene anche diffuse e specifiche doglianze avverso l’articolata ratio decidendi della sentenza appellata.

E’ del tutto ovvio che, in una fattispecie tanto complessa, per avvalorare le doglianze rivolte contro la sentenza, l’appellante abbia più volte richiamato il ricorso di primo grado e il suo analitico contenuto, prospettante una ricostruzione dei fatti del tutti diversa da quella posta a base dell’atto sanzionatorio.

Nel merito, va ricordato come l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato abbia individuato in determinate attività, poste in essere dalla società Saint Gobain Ppc Italia s.p.a. (già Bpb Italia s.p.a.) un abuso di posizione dominante, contrario all’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue), attraverso una “complessa e articolata strategia globale, volta ad impedire l’ingresso nel mercato del cartongesso dell’impresa potenzialmente concorrente Fassa s.p.a.”. A tale riguardo, la medesima Autorità imponeva alla citata società Saint Gobain di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata ed applicava una sanzione amministrativa pecuniaria, pari ad €. 2.165.787,00 (euro duemilionicentosessantacinquemilasettecentottantasette/00).

La legittimità del lungo ed articolato provvedimento, col quale la medesima Autorità è pervenuta alle conclusioni sopra riportate, deve, nei termini già in precedenza esposti, essere rapportata ai seguenti parametri:

a) corretta rappresentazione dei fatti, in base a valutazione sia degli elementi di prova raccolti dall’Autorità Garante che delle prove a difesa fornite dalle imprese interessate (Cass. civ. SS.UU., 29.4.2005, n. 8882);

b) coerenza e attendibilità dell’istruttoria espletata, nonché delle conseguenti iniziative, indirizzate a reprimere le condotte risultate devianti e ad assicurare il ripristino di corrette regole di mercato; congruità e ragionevolezza della motivazione in base a parametri di comune esperienza, con riferimento a tutte le figure sintomatiche di eccesso di potere (Cons. St., sez. VI, 23.4.2002, n. 2199);

c) sussistenza e corretta applicazione, o meno, di regole tecniche, la cui verifica richieda apposite conoscenze specialistiche, ma – in considerazione della già ricordata, peculiare posizione di indipendenza dell’Autorità Garante – senza alcun potere sostitutivo, ove non esattamente riscontrabili ma frutto di un apprezzamento complesso (con la sola eccezione del sindacato sulle sanzioni pecuniarie, sulle quali è ammesso un sindacato esteso al merito).

La disamina condotta in base ai suddetti criteri, ovvero sotto il profilo della corretta acquisizione e della coerente elaborazione dei dati conoscitivi, posti a base del provvedimento impugnato, appare sufficiente per confermare, ad avviso del Collegio, le conclusioni della sentenza appellata, circa la fondatezza dei rilievi dell’Autorità Garante e delle misure conseguenti, risultando il provvedimento sanzionatorio contestato riferibile ad un comportamento articolato, volto in effetti ad eludere le regole concorrenziali del mercato.

Infondati risultano, nell’ottica sopra indicata, i primi due motivi di gravame, concernenti l’individuazione ed i tempi di definizione, nel corso dell’istruttoria espletata, del “mercato geografico rilevante” (m.g.r.), da intendere come zona circoscritta entro cui – dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili – le imprese che forniscono quel prodotto si pongano in rapporto di concorrenza fra loro.

Tale individuazione – sindacabile solo per vizi logici, difetto di istruttoria e di motivazione, ovvero per errore manifesto di valutazione – ha valore non assoluto, ma relativo, in quanto presenta in ogni caso margini di opinabilità, pur potendosi in linea di massima ritenere che, in materia di abuso di posizione dominante, l’ambito del mercato rilevante debba essere definito in via preliminare, mentre in materia di intese l’ambito stesso rileva in un momento successivo dal punto di vista logico, per circoscrivere il grado di offensività della condotta (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 25.3.2009, n. 1794, 29.9.2009, n. 5864, 1.3.2012, n. 1192).

Nella situazione in esame, il mercato rilevante è stato individuato in una macro-area, comprendente gran parte dell’Italia centro-settentrionale, il sud est della Francia, parte della Svizzera e l’estremo occidentale dell’Austria. Le ragioni di tale individuazione sono state puntualmente enunciate dall’Autorità, per un materiale – di largo impiego nell’edilizia e dai costi contenuti – come quello costituito dai pannelli di cartongesso, per i quali appare ragionevole ritenere che l’incidenza dei costi di trasporto, per una distanza superiore a 500 chilometri dallo stabilimento di produzione, renda non proficua la distribuzione.

In tale ottica – contrariamente a quanto asserito dall’appellante – doveva ritenersi logica e adeguatamente motivata la definizione del mercato rilevante con riferimento al Comune di Calliano, in Piemonte, dovendosi valutare gli effetti di una segnalata condotta distorsiva della concorrenza, imperniata sull’osteggiata acquisizione di terreni gessiferi nel territorio dello Comune stesso. Quanto sopra, come già detto, in un mercato condizionato dall’ubicazione degli stabilimenti produttivi, per il quale appare tutt’altro che illogica, ai fini dell’accertamento della condotta segnalata, la delimitazione del mercato rilevante in rapporto alla specifica zona, su cui si sarebbe incentrato l’abuso di posizione dominante.

Altrettanto corrette appaiono le considerazioni dell’Autorità, in rapporto alle controdeduzioni della società Saint Gobain-Bpb, essendo solo quest’ultima in grado di effettuare la propria distribuzione entro un raggio maggiore, ma per il posizionamento ottimale dei propri impianti rispetto ai concorrenti, con particolare riguardo all’impianto di Termoli (essendo quest’ultimo “valida base logistica per i trasporti via mare del prodotto finito”). Anche un parziale ampliamento dell’area geografica interessata, per la commercializzazione del prodotto industriale di cui trattasi, era ritenuto comunque insufficiente per mutare le conclusioni da trarre, in ordine a condotte ostative per l’inserimento in tale mercato di un potenziale concorrente, per iniziativa di altro produttore in posizione di dominanza nel mercato stesso.

Il Collegio rileva inoltre (con questo ravvisando anche l’infondatezza del secondo motivo di gravame) che nell’atto di avvio dell’istruttoria notificato alle parti, con facoltà per queste ultime di chiedere un’audizione, si rappresentava una fattispecie di abuso di posizione dominante, posto in essere dall’attuale appellante per ostacolare l’accesso di Fassa “al mercato italiano del cartongesso”, mentre come “mercato di riferimento” si indicava genericamente, ma solo nella prima parte dell’atto, quello relativo all’attività di produzione del materiale di cui trattasi; nella seconda parte tuttavia – pur facendosi riferimento ad un mercato di dimensione nazionale, per gli stabilimenti già esistenti in Abruzzo, Molise, Emilia Romagna e Toscana (coprendosi da tali Regioni, con un raggio distributivo di 500 / 600 chilometri, pressoché tutto il territorio italiano) – si specificava anche come rilevasse “nel caso di specie….la localizzazione geografica, in cui si inseriscono le condotte supposte abusive”, di modo che sotto tale profilo detto mercato rilevante poteva anche “essere riferito ad una parte sostanziale del territorio nazionale, in particolare l’area del nord-Italia ed una parte dei confinanti territori d’Oltralpe”.

In tale situazione non può dirsi né che la definizione del mercato non abbia preceduto la valutazione dell’abuso, né (come sostenuto appunto nel secondo motivo di gravame) che il mercato rilevante sarebbe emerso solo al termine dell’istruttoria, con conseguente “violazione del contraddittorio e del diritto di difesa della società appellante”, in quanto quest’ultima non avrebbe realmente saputo da quali accuse difendersi (mentre le circostanze essenziali, oggetto di contestazione, erano pure sinteticamente esposte nel prosieguo del medesimo atto di avvio dell’istruttoria).

Posto, dunque, che l’area di riferimento può dirsi legittimamente individuata, è necessario stabilire se, nell’ambito della stessa, l’appellante si trovasse in posizione di dominanza (posizione contestata nel terzo motivo di gravame).

Anche sotto tale profilo, il Collegio non ravvisa ragioni di discordanza rispetto al provvedimento dell’Autorità, tenuto conto delle cave appartenenti al gruppo, delle quantità di prodotto commercializzato e dell’incidenza delle vendite, con assegnazione a Bpb di quote comprese fra il 40 e il 50%, rispetto ad un mercato in cui si ponevano come principali competitori le società Knauf e Lfg. Nel provvedimento impugnato si definisce con esattezza la nozione di “posizione dominante”, intesa, anche in ambito comunitario, come “combinazione di diversi elementi”, fra cui la detenzione di una quota di mercato elevata per un periodo sufficientemente prolungato, in rapporto alla struttura del mercato ed alle caratteristiche specifiche dell’operatore.

Detta posizione veniva ritenuta individuabile, nel caso di specie, per quote di mercato superiori al 40%, con successiva, analitica valutazione delle peculiarità del settore interessato, caratterizzato da “forti barriere all’entrata”, soprattutto per la scarsa presenza in natura del materiale gessoso necessario, fondamentale per impiantare la produzione, con netta prevalenza in tale ambito di Bpb, le cui vendite effettive si sarebbero attestate su “valori prossimi o superiori al 45%”, con un potenziale “abbondantemente superiore al 55%”; l’importanza e la preminenza dei prodotti di cartongesso di Bpb e del gruppo Saint Gobain, con la relativa rete commerciale e distributiva, sarebbe stata inoltre riconducibile anche alla maggiore diffusione e notorietà dei relativi marchi.

Secondo l’appellante, la predetta valutazione dovrebbe ritenersi erronea, in quanto rigidamente ancorata alla determinazione del mercato rilevante nel raggio di 500 chilometri dal Comune di Calliano, mentre con un raggio superiore le percentuali da assegnare ai singoli operatori muterebbero totalmente.

Quest’ultimo dato è stato smentito dal contestato provvedimento dell’Autorità, attraverso una analitica confutazione delle osservazioni formulate dalla società interessata, e sulla base di una adeguata istruttoria.

La società appellante rappresenta infatti, in primo luogo, come l’omessa considerazione delle vendite di impianti, collocati appena al di fuori dell’area circoscritta dall’Autorità (come Carpentras di Lafarge, a 521 Km. da Calliano o Lauffen di Knauf, a 513 km, o Corfinio in Abruzzo di Lfg) – a fronte della ricomprensione, nel raggio considerato, dell’impianto di Chambery di Bpb – abbia alterato le conclusioni raggiunte dall’Autorità, circa la reale incidenza delle singole imprese produttrici nel mercato di riferimento. Tali osservazioni tuttavia, come numerose altre, sono state sottoposte agli organi verificatori della medesima Autorità e risultano oggetto di contrapposte valutazioni (come quella riferita alla parallela esclusione, dall’ambito del mercato rilevante, dell’impianto Bpb di Termoli, in grado di riequilibrare la situazione per ambiti territoriali più allargati, ferma restando comunque, anche estendendo ancora l’area considerata, la maggiore potenzialità produttiva di Bpb, che continuerebbe ad attestarsi oltre il 40%).

Tali conclusioni sono state contestate anche in questa sede dall’appellante, che sottolinea il carattere approssimativo e presuntivo dei dati di vendita assunti dall’Autorità, senza tuttavia fornire inoppugnabili contestazioni circa la veridicità dei fatti segnalati in un provvedimento, le cui finalità non imponevano rigidi e verificabili parametri quantitativi.

Pur senza entrare nello specifico di ogni singola argomentazione difensiva, infatti, va ribadito come l’Autorità abbia valutato le difficoltà di inserimento della società Fassa – per effetto di comportamenti ostruzionistici, di seguito esaminati – tracciando un’ideale linea di demarcazione del mercato di riferimento (soggetto a contrazione proporzionale al costo dei trasporti), a partire dalla località in cui la medesima Fassa aveva incentrato il proprio progetto minerario ed industriale, con ulteriore individuazione della posizione di dominanza di Bpb, in tale ambito, sulla base di molteplici fattori: non solo in rapporto al volume – sia pure approssimativo – delle vendite, ma anche al numero ed alla ubicazione degli stabilimenti posseduti, alle dimensioni del complesso industriale di riferimento ed alla notorietà del marchio.

Tale apprezzamento risulta convincente, o quanto meno non inficiato da travisamento dei fatti o illogicità, mentre le diffuse argomentazioni difensive dell’appellante individuano solo diverse prospettive di valutazione dei medesimi fatti, in una dimensione di maggiore ampiezza del mercato di riferimento e di minore incidenza percentuale sul medesimo di Bpb-Saint Gobain. In base alle considerazioni già in precedenza svolte, tuttavia, dette argomentazioni (riferite ad apprezzamenti discrezionali complessi, cui è inevitabilmente connesso un certo margine di opinabilità) non evidenziano profili di eccesso di potere riferibili al provvedimento del contestato provvedimento dell’Autorità, ma tendono a valutazioni che inevitabilmente sconfinerebbero nel merito insindacabile delle scelte. Nella fattispecie, il Collegio ritiene che l’Autorità abbia rappresentato in modo attendibile la posizione di dominanza di Bpb, intesa come posizione di potere e di forza economica sul mercato per la combinazione di diversi fattori, nessuno dei quali, separatamente considerato, può considerarsi determinante (ivi compresa la percentuale di vendite superiore al 40%), essendo state ritenute essenziali per la unitaria valutazione di cui trattasi anche altre circostanze, quali l’importanza del gruppo industriale di riferimento e la collocazione strategica degli impianti produttivi nell’area, in cui l’abuso è stato segnalato.

Anche il terzo motivo di gravame, pertanto, deve ad avviso del Collegio essere respinto.

Ugualmente infondata deve ritenersi la quinta censura – qui esaminata anticipatamente per ragioni di consequenzialità – non potendo avere rilievo, per fatti svoltisi antecedentemente a luglio 2010 e per tale periodo sanzionati, dopo una lunga istruttoria, modifiche strutturali del mercato successivamente intervenute (essendo tali modifiche, con ogni evidenza, inidonee ad incidere sulla valutazione di condotte antecedenti al 2010). La diffida a non reiterare tali condotte per il futuro costituiva, poi, parte necessaria del provvedimento sanzionatorio, ma non implicava certo che – in caso di eventuali, nuove segnalazioni di abuso – anche la posizione di dominanza della società in questione non dovesse essere oggetto di una valutazione aggiornata, con conseguente inconferenza delle argomentazioni difensive, riferite alla notifica della diffida in una fase di diminuita incidenza di Bpb sul mercato.

Deve quindi essere affrontata, con riferimento al quarto motivo di gravame, la problematica sostanziale di sussistenza, o meno, delle condotte abusive oggetto di sanzione.

Come già riferito nella parte in fatto della presente decisione, tali condotte si sarebbero concretizzate in interventi di varia natura, indirizzati ad impedire, o quanto meno ad ostacolare, l’entrata di un nuovo concorrente nel mercato del cartongesso.

Data la peculiare natura di detto mercato, il concorrente di cui trattasi (Fassa s.p.a.) – già attiva nella produzione di calce, intonaci e materiali premiscelati per l’edilizia – cercava in primo luogo di acquisire una cava di gesso e alcuni terreni adiacenti, per collocarvi uno stabilimento produttivo. Per la realizzazione del progetto la società individuava una cava ed altre aree limitrofe nel Comune di Calliano, in provincia di Asti, con prospettive di elevata produzione a costi molto competitivi rispetto a quelli correnti, grazie ad altre infrastrutture già possedute. In tale situazione, il 5.12.2002 veniva stipulato un contratto preliminare per l’acquisto di una cava di proprietà della società La Pietra, rappresentata dal signor Giorgio Rosmino, ed iniziavano verifiche geologiche, in attesa dell’acquisto definitivo. Di tali verifiche sarebbe stata costantemente informata – come emerso nel corso dell’istruttoria – la società Bpb, che nel dicembre 2005 acquistava la medesima cava ed i terreni adiacenti. Ugualmente emergevano successivi contatti tra Bpb e i proprietari di altri terreni, in via di acquisto da parte di Fassa, per i quali Bpb risulta avere offerto prezzi maggiorati, facendo lievitare i costi nell’area.

Secondo testimonianze raccolte, Bpb attivava altresì diverse forme di controllo e di iniziative, volte ad impedire l’acquisto di terreni adatti all’estrazione del gesso da parte di Fassa. Ulteriori iniziative venivano poi riscontrate a seguito della stipula, da parte di quest’ultima, di una convenzione col Comune di Calliano, con riferimento all’attuazione di un piano particolareggiato, che avrebbe dovuto consentire la realizzazione di un insediamento produttivo: a tale riguardo intervenivano numerose procedure contenziose, per il cui avvio erano segnalati interventi determinanti della stessa Bpb, che – nel frattempo – continuava ad acquistare a prezzi maggiorati i terreni, che potevano risultare idonei alla realizzazione del progetto industriale della società concorrente.

Nel provvedimento dell’Autorità e nelle memorie difensive di Fassa s.p.a. vengono riportate esplicite testimonianze in ordine a quanto sopra, anche con peculiare riferimento alle intenzioni – apertamente manifestate da Bpb – di impedire l’ingresso di un nuovo concorrente nel mercato del cartongesso, come identificabile in rapporto al luogo di produzione prescelto.

In tale contesto rientrerebbero anche numerose iniziative giudiziarie, volte a contestare gli acquisti di terreni, comunque effettuati da Fassa, nonché gli strumenti urbanistici adottati dal Comune per consentirne l’attività. Comproverebbe tale circostanza il carattere pretestuoso di alcune di tali iniziative, poste in essere anche da soggetti privi dell’idoneità, dell’interesse o delle disponibilità finanziarie per il perseguimento degli obiettivi enunciati; analoghi interventi in sede giudiziaria non interessavano, invece, gli acquisti di Bpb. Quanto sopra evidenzierebbe, ad avviso della società attualmente controinteressata, una “spregiudicata regia esterna, capace di pilotare gli atti di semplici agricoltori ben oltre le capacità di iniziativa” dei medesimi.

L’esistenza di intenti ostruzionistici da parte di Bpb veniva ulteriormente comprovata dall’intromissione di quest’ultima nelle trattative per l’acquisto di terreni di proprietà dell’Istituto Diocesano per il sostentamento del clero, nel Comune di Casale Monferrato, con giacimenti di gesso nel sottosuolo contigui ad altri già coltivati da Fassa, con successivo acquisto di tali terreni, da parte di quest’ultima, a prezzo sensibilmente maggiorato.

In ordine ai fatti appena sintetizzati, ampi e dettagliati risultano gli accertamenti condotti dall’Autorità, che ha ripercorso l’intera vicenda ed ha anche ricostruito i rapporti di tipo lavorativo o patrimoniale, intercorrenti fra i propositori di alcuni ricorsi giurisdizionali e Bpb.. L’Autorità ha poi analiticamente valutato le controdeduzioni di quest’ultima, in buona parte riproposte in appello, ritenendole non adeguate per escludere una “complessa strategia globale….articolata lungo uno spettro continuo di azioni diverse”, con “obiettivo escludente nei confronti di Fassa”, il cui ingresso nel mercato del cartongesso sarebbe stato ritardato di “almeno tre anni”, con aumento dei costi di accesso e incertezza sulla possibilità di acquisire adeguate riserve di materiale, mentre Bpb avrebbe acquisito riserve in misura “sproporzionata, rispetto ai canoni fisiologici di approvvigionamento strategico della materia prima”. Non sarebbero mancati riscontri, peraltro, dell’”intenso monitoraggio condotto da Bpb nei confronti di Fassa, anche con mezzi poco ortodossi”. In tale ampio e documentato contesto probatorio, il Collegio non ravvisa quel travisamento dei fatti, che nell’appello viene ricondotto ad una molteplicità di circostanze: gli indugi della stessa società Fassa nel concludere l’operazione di acquisto della cava, già oggetto di preliminare di vendita (successivamente ritenuto risolto in via arbitrale senza pagamento di penale da parte del venditore, ing. Rosmino, mai ascoltato dall’Autorità), la crescita del mercato che avrebbe indotto Bpb ad ampliare le proprie capacità produttive, la preoccupazione della stessa per l’ingresso di concorrenti non necessariamente tradotta in interventi ostativi, la riconducibilità delle azioni giudiziarie avviate nei confronti di Fassa e del Comune di Calliano agli interessi dei singoli proponenti, oltre che all’impatto “visivo ed ambientale” dell’insediamento produttivo progettato da Fassa.

In base a quanto sopra sintetizzato, tuttavia, appare evidente come l’appellante rappresenti circostanze, da cui emerge non reale travisamento, ma diverso apprezzamento dei fatti esaminati dall’Autorità. Tali fatti, oggettivamente sussistenti, trovano dunque nella difesa di Bpb diversa spiegazione, ma non integrale confutazione, come tasselli di un mosaico, in cui qualche elemento può assumere diversa connotazione o venire a mancare, senza che tuttavia venga meno il disegno complessivo, che nell’ampia e convincente disamina dell’Autorità assume i connotati di abuso di posizione dominante. E’ sufficiente infatti, a tal fine, che l’Autorità Garante tracci un quadro indiziario coerente ed univoco, in presenza del quale può ritenersi sussistente una vera e propria inversione dell’onere della prova, circa l’avvenuta, o meno, alterazione della concorrenza (cfr. per i diversi profili indicati, fra le tante, Corte di Giustizia, 8.7.1999, cause 49/92 Anic, C-235/92P Montecatini e C-1999/92P Huls; Cons. St., sez. VI, nn. 926/04, 548/06, 4017/06, 4362/02).

Nella situazione in esame, gli elementi indiziari appaiono, in effetti, numerosi e convergenti, ovvero tali da suffragare l’attendibilità delle motivate valutazioni dell’Autorità, senza trovare adeguata confutazione nelle argomentazioni difensive dell’appellante, tenuto conto delle circostanze oggettive che emergono dagli atti (come suffragate dalla documentazione interna e riservata di Bpb e dalle testimonianze raccolte), nonché in presenza di anche successivi riscontri, come quello riferito al modesto sfruttamento della cava La Pietra, in precedenza sottratta all’acquisto di Fassa.

Anche il quarto motivo di gravame appare, pertanto, non condivisibile, nei già richiamati limiti, entro cui può ammettersi il sindacato giurisdizionale di legittimità sulle valutazioni discrezionali complesse, oggetto di specifica competenza dell’Antitrust.

Resta da valutare la congruità della quantificazione della sanzione pecuniaria di €. 2.165.787, contestata nel sesto ordine di censure per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Detta sanzione risulta applicata per violazione dell’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) – come recepito dalla legge 10.10.1990, n. 287 (norme per la tutela della concorrenza e del mercato) – con riferimento ad una condotta idonea ad arrecare pregiudizio al commercio tra Stati membri, in quanto limitativa della concorrenza.

In caso di gravità di tale condotta, l’art. 15, comma 1, della citata legge n. 287 del 1990 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria, di entità contenuta entro il limite massimo del 10% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio, chiuso anteriormente alla notificazione della diffida.

Nel caso di specie, la stessa società appellante – pur contestando le stime effettuate dall’Autorità – non sembra ritenere che la sanzione in concreto applicata superi il 7%, del fatturato di riferimento della società. Tale percentuale è definita, infatti, “di ammontare del tutto incoerente e sproporzionato”, ma non per superamento del “tetto” del 10%, normativamente imposto, quanto per la peculiarità di una situazione, che viene definita come vero e proprio “caso pilota”, per una comminatoria di sanzione meramente simbolica, tenuto conto anche del “ravvedimento operoso”, che l’Autorità non avrebbe adeguatamente valutato.

Le argomentazioni sopra sintetizzate non sono condivise dal Collegio.

Anche per l’applicazione della misura sanzionatoria di tipo pecuniario e per la relativa quantificazione, infatti, il provvedimento impugnato risulta ampiamente motivato e coerente, risultando approfondita sia la nozione di gravità della condotta (intesa come strategia globale escludente della concorrenza, da sottoporre a valutazione unitaria), sia la relativa durata (circa cinque anni e mezzo). E’ stato, quindi, correttamente rilevato come il complesso di attività poste in essere da Bpb avesse posto “ingenti barriere” all’entrata di nuovi operatori, con “significativo nocumento alle possibilità di scelta ed al benessere dei consumatori, derivante dalla riduzione della concorrenza effettiva e potenziale nel mercato”. La gravità della condotta è stata, pertanto, commisurata non solo al riconosciuto danno economico di Fassa (entrata nel mercato con notevole ritardo e a costi maggiori), ma anche all’effetto di deterrenza delle condotte escludenti rilevate per la concorrenza potenziale (“in ragione dell’effetto di monito” su futuri operatori diversi da Fassa), nonché all’indotta contrazione di dinamiche innovative nel mercato di riferimento (in quanto una ridotta competitività fra le imprese concorrenti si traduce, inevitabilmente, in minore incentivazione ad investire, per accrescere l’efficienza di ciascun operatore).

Alle condivisibili argomentazioni sopra ricordate si aggiunge un puntuale apprezzamento – come circostanza idonea a ridurre l’entità della misura sanzionatoria – delle iniziative intraprese da Bpb per attenuare le conseguenze dell’infrazione: iniziative concretizzate nella vendita a Fassa di alcuni terreni gessiferi e nella rinuncia a diverse azioni giudiziarie, intraprese da terzi in via civile o amministrativa.

In tale contesto, il Collegio non ritiene superato il sussistente principio di proporzionalità della sanzione, espressamente richiamato dal regolamento 4064/89CEE ed affermato dalla Corte di giustizia, secondo cui “i provvedimenti che incidono sulle situazioni soggettive degli interessati” debbono essere “proporzionati ed adeguati alla situazione cui intendono porre rimedio, in modo da non imporre misure eccedenti”. Quanto sopra sia in rapporto alle disponibilità economiche dell’appellante – quale gruppo di notevoli dimensioni operante a livello internazionale (ferma restando la commisurazione della sanzione stessa alla quota di fatturato, relativo alla parte italiana del mgr) – sia in rapporto alla pluralità ed alla gravità dei comportamenti sanzionati, implicanti anche uso strumentale della Giustizia per finalità diverse da quelle formalmente enunciate (di natura civilistica, o di difesa dell’ambiente). A quest’ultimo riguardo, constatata la cessazione di alcune delle controversie in questione per il “ravvedimento operoso” di Bpb (sia pure con espressa precisazione di estraneità delle iniziative da intraprendere, rispetto a qualsiasi forma di acquiescenza alle ipotesi accusatorie); resta il fatto, tuttavia, che dette ipotesi risultavano sorrette da consistenti supporti probatori, circa la sussistenza di rapporti sia dei propositori di azioni, in via civile o amministrativa, contro le iniziative di Fassa, sia dei relativi – spesso identici – difensori con l’attuale appellante e con i relativi avvocati. Non meno grave, d’altra parte, doveva ritenersi l’alterazione dei valori di mercato dei terreni, contesi a Fassa da Bpb senza reali interessi commerciali – e quindi con fondata presunzione di finalità ostruzionistiche – in capo a quest’ultima, con le conseguenze, anche a danno anche dei consumatori, esaurientemente illustrate dall’Autorità. Non trova riscontro, in tale contesto, il richiamo della difesa dell’appellante a situazioni, in cui la medesima Autorità avrebbe ritenuto sufficiente l’applicazione di una sanzione simbolica di mille euro: non sono infatti in alcun modo rappresentati i profili di possibile assimilazione della fattispecie in esame a quelle, inevitabilmente in fatto diverse, in cui detta misura simbolica è stata ritenuta sufficiente, né d’altra parte appaiono seriamente prospettabili profili di contraddittorietà, in rapporto a valutazioni complesse e articolate come quelle dell’Antitrust, nelle diverse possibili situazioni sottoposte alla relativa disamina. Dall’esaustiva e articolata istruttoria, di cui si fornisce riscontro nel provvedimento impugnato, d’altra parte, non emergono ad avviso del Collegio incertezze, circa la sussistenza dell’abuso sanzionato.

Quanto alle contestazioni riferite alla condanna alle spese in primo grado, il Collegio richiama il principio per il quale va motivata la compensazione di tali spese – e non la condanna –in caso di soccombenza in giudizio, nei confronti delle controparti costituite, mentre l’entità della condanna stessa rientra nell’ampia discrezionalità dell’organo giudicante.

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto.

Le spese giudiziali del secondo grado, da porre a carico della società appellante, vengono liquidate nella misura di €. 10.000,00 (euro diecimila/00), di cui 3.000,00 (tremila/00) a favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e 7.000,00 (settemila/00) a favore della società Fassa s.p.a.).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello specificato in epigrafe n. 2575 del 2012; condanna la società Saint Gobain PPC Italia s.p.a. al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00) a favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed €. 7.000,00 (euro settemila/00) a favore della società Fassa s.p.a .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

 

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