REFORMATIO IN PEIUS DELLA SENTENZA DI ASSOLUZIONE NON INDISCRIMINATA

La Corte di Cassazione, accogliendo proprio l’impugnativa di chi scrive, torna a delineare gli esatti termini entro cui al Giudice di appello è consentito riformare la sentenza assolutoria ottenuta dal prevenuto in primo grado. Per il Giudice Nomofilattico, non sussiste piena specularità tra pronuncia di appello favorevole all’imputato ovvero confluente in una statuizione di condanna. In tale ultima evenienza,  il Secondo Giudice non può limitarsi ad una eterogenea disamina, pur se di eguale plausibilità, occorrendo per contro una più pregnante motivazione, dotata di superiore forza persuasiva, tesa ad evidenziare le irriducibili contraddizioni della sentenza gravata e le insanabili aporie (Cassazione Penale, Sezione IVª, Sentenza N° 4336 – 2 Febbraio 2016).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

 

 

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLO GIUSEPPE BRUSCO                                     -Presidente-

Dott. LUISA BIANCHI                                                          -Consigliere-

Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA                                     -Consigliere-

Dott. GIUSEPPE GRASSO                                                -Rel. Consigliere-

Dott. EUGENIA SERRAO                                                     -Consigliere-

 

pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R. M. N. IL 07/02/1980

 

avverso la sentenza n. 1009/2011 CORTE APPELLO di

CATANZARO, del 08/01/2014

 

visti gli atti, la sentenza e il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2015 la relazione fatta dal

Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Maria Fodarani

che ha concluso per il rigetto.

Udito, per la parte civile, F. M., Avv. Carlo Assani, il quale ha chiesto la conferma;

per il responsabile civile, Avv. Maria L. Scapatice, la quale ha chiesto accogliere il ricorso;

per il ricorrente, l’avv. Francesco Noto, il quale ha chiesto accogliere il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 4/03/2011, assolse per non avere commesso il fatto R. M. dall’accusa di omicidio colposo, con violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, ai danni di M. A. (secondo l’imputazione il R., alla guida di un’autovettura, impegnato a percorrere strada statale, effettuando manovra di svolta a sinistra, al fine d’immettersi in un viottolo interpoderale, omettendo di assicurarsi dell’assenza di pericoli o intralci per gli utenti della strada – art. 154 Comma 1, lett. A e b, c.d.s. – e per colpa generica, era andato a collidere con un motociclo, condotto a velocità elevatissima dal M., a bordo del quale prendeva posto anche una passeggera, viaggiante nella medesima direzione di marcia e che aveva di già impegnato l’altra corsia per effettuare manovra di sorpasso).

1.1. La Corte d’Appello di Catanzaro, alla quale si era ricolto il P.M., con sentenza dell’8/01/2014, in riforma della decisione di primo grado, riconosciuta la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di omicidio colposo e, dichiarato non doversi procedere in ordine al delitto di lesioni colpose ai danni della terza trasportata, per difetto di querela, con le attenuanti generiche prevalenti, condannò il medesimo alla pena sospesa stimata di giustizia, disponendo non farsi menzione della statuizione; nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, e al rimborso delle spese legali in favore della P.C.

  1. L’imputato propone ricorso per cassazione corredato da plurime censure.

2.1 Con i primi due motivi, denunzianti violazione di legge e vizio motivazionale, nonché vera e propria mancanza di motivazione, il ricorrente, dopo aver ripreso l’iter processuale e la dinamica dell’evento, nonché le conclusioni degli apporti dei consulenti (quello del P.M., che individua una colpa concorrente del R., e quelli della difesa e del giudice, che escludono rimprovero a carico del predetto), evidenzia che la Corte territoriale non aveva valorizzato rilevanti circostanze ritualmente acquisite (era quasi buio e la strada era priva di illuminazione); aveva erroneamente equiparato l’evenienza che il motociclista avrebbe dovuto essere stato avvistato con la condotta pericolosa vietata, così onerando ingiustamente il conducente dell’autovettura dell’obbligo di arrestare la propria manovra di svolta, bloccandosi al centro della carreggiata, dando vita a situazione di pericolo per gli altri utenti della strada, laddove l’evento era da ascriversi alla repentina, irregolare condotta di guida del motociclista, finendo così per violare il principio di colpevolezza. Per giungere ad un tale risultato, prosegue il ricorrente, la Corte di Catanzaro, non aveva affatto confutato la decisione di primo grado mediante l’esposizione di argomenti solidamente capaci di scardinare la forza persuasiva. Inoltre, viene ulteriormente sottoposta a sindacato di legittimità la circostanza che il perito, dopo aver fissato in circa cento metri la distanza fra i due mezzi al momento dell’avvio della manovra di svolta ed affermato che in quel frangente la vittima si sarebbe trovata nella propria corsia, e valutata come non comprensibile la decisione di quest’ultima d’insistere nel superare a sinistra l’autovettura, piuttosto che aggirarla da destra (senza contare che, in ipotesi, la visuale dell’imputato, avrebbe potuto restare ostruita dalla presenza di veicoli interposti), con la conseguenza che il giudice della riforma, aveva affermato prevedibilità ed evitabilità senza tener conto della situazione in concreto. Per questo non avrebbero dovuto essere evocati precedenti di legittimità regolanti fattispecie ben diversa (visione frontale e diurna), a meno di non volere porre a carico dell’utente della strada impegnato in una manovra di svolta, nelle condizioni date, un inaccettabile obbligo di risultato.

2.2 Con il successivo motivo, denunziante i medesimi vizi di cui sopra, evidenzia l’erronea interpretazione dell’art. 154, lett. a), c.d.s., adottata dalla Corte territoriale, seguendo la quale, in palese difformità rispetto al contenuto normativo, il conducente impegnato in una manovra di svolta deve astenersi dal portarla a compimento tutte le volte che avvisti, anche in lontananza, altro veicolo, e non nei soli casi in cui essa <<crei pericolo o intralcio>>, peraltro procurando una situazione di pericolo concreto, arrestando la propria marcia nella parte mediana dell’asse viario. Nel caso, il pericolo non era affatto percepibile, in quanto il motociclo si trovava a distanza ben congrua e, anche tenuto conto delle condizioni di luce, non era di certo prevedibile che lo stesso tenesse una velocità di circa 160 km/h, ben superiore al massimo consentito su strada ordinaria.

2.3 Con il quarto motivo il ricorrente assume essere stati violati gli artt. 40 e 41, cod. pen. e, comunque, offerta motivazione in questa sede censurabile. La Corte di merito, secondo la prospettazione, aveva omesso di verificare la sussistenza del nesso di causalità; verifica che avrebbe imposto la motivata esclusione che l’evenienza si era verificata a cagione della sconsiderata velocità tenuta dal motociclista, costituente causa autonoma.

2.4 Con l’ultimo motivo il R. denunzia, ancora una volta, violazione di legge e vizio motivazionale sotto il seguente profilo. I giudici d’appello avevano liquidato l’ipotesi che il motocilista viaggiasse a luci spente assumendo che l’imputato non aveva enunciato giammai una tale ipotesi. L’affermazione non aveva considerato, sul piano processuale, che la circostanza, assorbita dalla decisione assolutoria di primo grado, era stata evidenziata in appello con apposita memoria (Cass., S.U., n. 45276 del 30/10/2003). Nel merito, in contrasto con il dato di comune esperienza, si era giudicato ininfluente per la visibilità ad opera del veicolo che precede (operata attraverso lo specchietto retrovisore) la circostanza che il veicolo che lo segue a quella distanza, in ora crepuscolare, senza far uso delle luci regolamentari, risulti comunque visibile, invertendo illegittimamente l’onere della prova.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato nei termini di cui appresso.

3.1. Deve osservarsi che la Corte territoriale nel riformare in toto il giudizio del Tribunale non ha fornito quella appagante motivazione rinforzata alla quale più volte si è fatto riferimento in sede di legittimità.

Si è, infatti, detto che il giudice di appello che riformi la sentenza del giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito dalla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 14/01/2014, Rv. 258005; Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, dep. 19/09/2012, Rv. 254617).

Ed ancora, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, dep. 22/11/2013, Rv. 257332).

In altri termini, la riforma deve trovare giustificazione in uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del “decisum” impugnato, mettendone in luce le carenze o le aporie (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, dep. 03/12/2014, Rv. 261327). Invero, la sentenza gravata, pur avendo correttamente confinato l’affidamento in materia di delitti colposi stradali alle ipotesi nella quali la condotta altrui tracima nell’imprevedibilità, non ha verificato che in concreto (cioè, a riguardo di quel fatto dato, siccome restituito dalle emergenze processuali) l’evento fosse prevedibile ed evitabile. Sul punto non soccorre il precedente di legittimità evocato in sentenza (Cass., Sez. 4, n. 4518 dell’11/12/2012, dep. 29/01/2013, Rv. N. 254664), il quale si riferisce ad ipotesi solo apparentemente similare, ma, in effetti, dissimile per la fondamentale ragione che in quel caso l’automobilista intento ad attraversare l’asse viario per immettersi in una strada posta alla sua sinistra aveva la visione diretta e frontale del motociclista, il quale marciava in senso contrario, nell’opposta semicarreggiata. Al contrario, nel caso in scrutinio la vittima, procedendo nella stessa direzione di marcia dell’imputato, giunse alle spalle di costui, che avrebbe dovuto avvistarla attraverso gli specchietti retrovisori. Fermo restando che il contenuto del precetto normativo (art. 154, lett. a, cod. della str.), fonte del rimprovero di colpa specifica, descrive una condotta cautelare che in sé non vieta la manovra tutte le volte che si avvisti a distanza di certa sicurezza altro veicolo la cui traiettoria di marcia viene ad essere virtualmente interessata, imponendo piuttosto di assicurarsi che non si venga a creare (per quel che qui rileva) pericolo, è rimasto solo enunciato, ma in realtà niente affatto esplorato il territorio della casualità della colpa. Sono rimasti non adeguatamente accertati plurimi punti decisivi al fine di potersi affermare che l’evento era prevedibile e prevenibile dall’imputato, mediante comportamento alternativo lecito. In particolare non è univoca l’informazione sulla distanza alla quale il motociclo era avvistabile, tenuto conto delle precipue condizioni di luce, in relazione all’ora, alle condizioni atmosferiche e alla messa in funzione o meno dei sistemi di illuminazione del predetto mezzo, considerata, altresì, la modalità del predetto avvistamento (mediante gli specchietti retrovisori). Non risultano essere stati presi in attento esame i tempi di reazione tecnica e le condotte alternative praticabili al momento in cui l’automobilista ebbe modo di scorgere il motociclo (assume rilievo niente affatto secondario sapere in quale fase della manovra si presentò da retro nel campo visivo il mezzo della vittima e quali condotte possibili ad opera del R. avrebbe impedito l’evento o ridotto la lesività dello stesso). Ciò posto, non resta che annullare la sentenza impugnata per nuovo esame, anche mediante l’approfondimento istruttorio reputato del caso. La Corte del rinvio regolerà le spese tra le parti.

P.Q.M

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro cui rimette il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

Così deciso in Roma il 10/11/2015.

Il consigliere estensore                                                Il Presidente

(Giuseppe Grasso)                                           (Carlo Giuseppe Brusco)

 

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STUDIO LEGALE AVVOCATO FRANCESCO NOTO – COSENZA

 

 

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