LA BANCA CEDENTE RISPONDE DEL DANNO CAGIONATO AL CESSIONARIO, ANCOR PRIMA CHE QUEST’ULTIMO ABBIA AGITO IN DANNO DEL DEBITORE

La Corte di Cassazione per la prima volta si interroga (peraltro  in risposta a quesito formulato nell’interesse della legge ex art. 363 cpc) sulla possibilità per il cessionario di agire a titolo di inadempimento in danno della banca cedente, ancor prima ed a prescindere dalla escussione del credito. Al quesito viene data risposta positiva, e laddove il credito ceduto sia assistito da ipoteca, la perdita della garanzia reale costituisce  un danno autonomo  rispetto a quello derivante da inadempimento. Il diritto di credito, ben passibile di ulteriori vicende traslative, ha un valore di circolazione, derivante dal valore nominale del credito medesimo, ed altresì dall’entità delle garanzie offerte. Valore di circolazione  pari all’entità numerica del credito, decurtata delle perdita in caso di inadempienza, quest’ultima da raccordare alle garanzie reali ed ai possibili tempi di escussione del credito. Entità del pregiudizio ritenuto pertanto di tipo predittivo (da parametrare alla ridotta capacita di circolazione del credito),  destinato ad essere soppianto dai numeri certi ottenuti all’esito  dell’azione esecutiva, ove intrapresa dal cessionario  (Cassazione Civile, Sezione Terza, sentenza N° 11583 del 15 Giugno 2020

CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 27537/2017 R.G. proposto da: L Z, rappresentato e difeso dagli Avv.ti N M, F P e M N, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Cassiodoro, n. 9; – ricorrente – contro Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti M B e G L M B, con domicilio eletto in Roma, viale Gorizia, n. 22, presso lo studio dell’Avv. G L M B; controricorrente e ricorrente incidentale – A F s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore; – intimata – avverso la sentenza n. 1182 della Corte d’appello di Brescia depositata il 16 agosto 2017. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 dicembre 2019 dal Consigliere Cosimo D’Arrigo; uditi gli Avv. M N e l’Avv. M B; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso chiedendo il rigetto dei primi due motivi del ricorso principale e l’accoglimento del terzo motivo, assorbiti i restanti; il rigetto del ricorso incidentale. FATTI DI CAUSA Con atto del notaio L Z, in data 16 febbraio 2009, la Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. cedeva pro soluto alla Nazionale Fiduciaria s.p.a., poi diventata Aletti Fiduciaria s.p.a., al prezzo di C 400.000,00, taluni crediti vantati nei confronti della S.V. I s.r.l. per il valore di C 1.752.065,81. I crediti erano garantiti da ipoteche immobiliari iscritte presso i registri immobiliari di Brescia, Breno e Tempio Pausania. Al momento della presentazione dell’annotazione di surroga a margine delle suddette ipoteche emergeva che quelle iscritte presso i registri di Brescia e Breno erano state cancellate rispettivamente nel 2003 e nel 2001, all’esito dell’espropriazione forzata sugli immobili ipotecati avviata dalla stessa Banca Popolare di Sondrio. La A F adiva, quindi, il Tribunale di Brescia, adducendo un comportamento doloso della Banca, ai sensi dell’art.1440 cod. civ., e chiedendo, in subordine, il risarcimento del danno per inadempimento. La Banca convenuta si costituiva per resistere alle domande della cessionaria dei crediti. Inoltre, chiedeva ed otteneva di essere autorizzata a chiamare in causa il notaio Z, nei cui confronti proponeva domanda di manleva per il caso di soccombenza. In particolare, deduceva che il professionista aveva omesso di far risultare dall’atto di cessione la successiva cancellazione delle ipoteche. Lo Z, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti dalla Banca. Il Tribunale, accogliendo parzialmente la domanda della A F, condannava la Banca al pagamento della somma di C 290.001,87, oltre accessori, ma rigettava la domanda proposta da quest’ultima nei confronti dello Z. La Banca Popolare di Sondrio appellava la decisione in relazione all’affermazione della sua responsabilità nei confronti della A F e, in via subordinata, relativamente al rigetto della domanda di manleva nei confronti del notaio. L’A F proponeva appello incidentale, insistendo per l’integrale accoglimento della propria domanda. Lo Z, invece, chiedeva la conferma della sentenza impugnata. La Corte d’Appello di Brescia accoglieva l’appello principale limitatamente alla domanda subordinata di manleva e, quindi, condannava lo Z a tenere indenne la Banca da quanto dovuto alla A F. Rigettava per il resto l’appello principale e quello incidentale. Avverso detta sentenza L Z ricorre per cassazione con cinque motivi. La Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale articolato in tre motivi. La A F s.p.a. non ha svolto attività difensiva. Le parti costituite hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Poiché il capo della sentenza impugnata relativo alla domanda di manleva proposta dalla Banca nei confronti dello Z (oggetto del ricorso principale) presuppone l’accertamento della responsabilità della prima nei confronti della A F, è necessario esaminare dapprima il ricorso incidentale: nell’ipotesi di accoglimento dello stesso verrebbe, infatti, meno l’interesse sotteso al ricorso principale. 2. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia «la nullità della sentenza» ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. con riferimento agli artt. 1362, 1388, 1391, 1703 e 1704 cod. civ. In realtà, il motivo è evidentemente volto a denunciare, piuttosto che un error in procedendo, una violazione di legge e in tal senso deve essere reinterpretato. Le censure riguardano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso rilevanza alla fase delle trattative condotte da tale G R, al quale – secondo quanto sostiene la Banca – era stato inviato un prospetto delle somme ricavate dalla vendita forzata degli immobili ipotecati. Poiché il R agiva quale mandatario con rappresentanza della cessionaria, l’inesistenza delle ipoteche di B e B sarebbe stata debitamente portata a conoscenza della A F già nella fase delle trattative precontrattuali. Diversamente ragionando, la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 1362 cod. civ., essendosi fermata al solo criterio di interpretazione letterale del contratto. Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha rilevato che «è pacifico che le trattative sono state condotte con altro soggetto, per cui quanto intercorso nelle medesime non può essere opposto alla appellata Aletti dato che, come è stato accertato in sentenza, con statuizione che non essendo stato oggetto di gravame deve ritenersi coperta da giudicato, essa si è presentata alla controparte solo in sede di stipula» Dunque, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, l’estraneità della A F alle trattative condotte dal R e, di conseguenza, la circostanza che quest’ultimo non avesse capacità di rappresentare la società cessionaria, costituiscono oggetto di uno specifico accertamento compiuto dal giudice di primo grado non devoluto alla Corte d’appello, in difetto di apposito motivo di gravame. L’accertamento del giudicato interno non risulta posto in discussione dal ricorso incidentale in esame. Una simile censura si sarebbe dovuta articolare denunciando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e riproducendo la parte dell’atto di appello che conteneva il motivo di gravame non considerato dalla corte territoriale L’irreversibilità di tale accertamento rende, quindi, inammissibile la doglianza che si basa sul ruolo sostanziale svolto dal R nella fase delle trattative. 3.1 Con il secondo motivo del ricorso incidentale, replicando il medesimo errore di prospettazione del primo motivo, si denuncia un’ulteriore causa di «nullità della sentenza» ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 2697 e 1223 cod. civ. Anche in questo caso si tratta, piuttosto, della violazione o errata applicazione della legge in relazione alla distribuzione dell’onere della prova in tema di danno. La controricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui non ha tenuto in conto l’esistenza della terza ipoteca, quella iscritta presso la conservatoria dei registri immobiliari di Tempio Pausania. Ciò determinerebbe un difetto di prova circa la sussistenza del danno, che si sarebbe potuta affermare solo ove fosse stato accertato che quell’ipoteca avesse avuto valore inadeguato alla soddisfazione dell’intero credito ceduto. Si tratta della riproposizione di una questione già prospettata fra i motivi di appello, che la corte territoriale ha liquidato osservando: «dal momento che il cedente ha garantito la esistenza di una pluralità di ipoteche, il danno potrebbe escludersi solo nel caso in cui l’immobile di Tempio Pausania avesse avuto un valore adeguato alla intera soddisfazione del credito; ma tale circostanza non è stata neppure affermata dalla difesa della Banca Popolare di Sondrio, per cui diviene superflua ogni indagine sul punto» (pag. 23) Ad avviso della Banca ricorrente incidentale, in tal modo la Corte d’appello avrebbe violato i criteri legali di ripartizione dell’onere della prova, poiché grava sull’attore che agisce per il risarcimento del danno conseguente l’inadempimento contrattuale dimostrare il pregiudizio effettivo incidente nella sua sfera patrimoniale. 3.2 In sostanza, la questione direttamente sottoposta a questa Corte concerne gli oneri probatori, in punto di dimostrazione del danno, a carico del cessionario del credito che intenda agire contro il cedente perché il credito ceduto non è assistito dalle garanzie promesse. Tale quesito, a sua volta, sottintende altre due questioni: anzitutto, se il cessionario del credito possa agire nei confronti del cedente, per mancanza delle garanzie promesse, prima ancora di escutere il debitore ceduto; in secondo luogo, qualora a tale domanda si risponda affermativamente, in cosa consiste il danno del cessionario cui sia stato ceduto un credito vero, ma non garantito nel modo indicato dal cedente. 3.3 Giova, a questo punto, osservare che non risulta che la società cessionaria abbia chiesto in giudizio la risoluzione del contratto e la retrocessione dei crediti, ma solo il risarcimento del danno; e che il Tribunale, conformemente alla domanda così formulata, ha condannato la banca cedente al pagamento della somma di euro 290.001,87, ma non ha pronunciato la risoluzione della cessione. La ricorrente incidentale, tuttavia, non chiarisce a quale titolo sia stata comminata la condanna. Può solo ipotizzarsi, ma sul punto il ricorso è lacunoso, che si tratti della determinazione del danno risarcibile. Se così fosse, mancherebbe altresì la specificazione di quale sia stato il percorso attraverso il quale il Tribunale sia pervenuto al risultato di tale liquidazione. Potrebbe ipotizzarsi che la somma come sopra determinata sia pari alla differenza fra il valore nominale del credito ceduto e quanto effettivamente riscosso dalla cessionaria. Ma una simile conclusione è contraddetta dalla Corte d’appello, la quale sostiene che la liquidazione del danno da parte del Tribunale sarebbe stata effettuata in via equitativa. In realtà, l’importo liquidato costituisce evidentemente il frutto di un calcolo aritmetico ben preciso, dato che comprende le unità e addirittura i decimali. Ad ogni modo, anche su questo profilo il ricorso è del tutto impreciso. Non è chiaro, poi, se i crediti oggetto di cessione siano stati forzatamente escussi dalla Aletti Fiduciaria e se, nella liquidazione del danno, si sia tenuto conto dell’esito dell’esecuzione forzata. Pure su questo punto il ricorso è assolutamente carente. Un indizio in tal senso può trarsi solo dalla lettura della sentenza impugnata, ove si fa riferimento all’importo delle spese del processo esecutivo. Infine, la sentenza impugnata fa chiarezza anche su un altro aspetto del quale non si fa alcuna menzione nel ricorso incidentale: i beni oggetto di ipoteca “inesistente” «erano stati trasferiti nell’ambito di un [altro] procedimento di esecuzione immobiliare»; in particolare, pare che sia stata la stessa cedente (Banca Popolare di Sondrio) ad aver azionato quelle ipoteche, prima ancora della cessione del credito. In mancanza dell’esatta indicazione di elementi così decisivi, il motivo deve essere dichiarato inammissibile per insufficiente esposizione dei fatti di causa e difetto di specificità (art. 366, primo comma, nn. 3 e 6, cod. proc. civ.). L’omissione di tali informazioni impedisce, infatti, a questa Corte di valutare la fondatezza della prospettata censura. Né per colmare la carenza di requisiti di ammissibilità del ricorso è possibile attingere ad altre fonti o atti processuali, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). 3.4 Sebbene il motivo sia, per le ragioni esposte, inammissibile, lo stesso prospetta una questione di diritto che, per la particolarità della stessa e il suo carattere di novità, merita di essere esaminata nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ.Il primo nodo da sciogliere concerne la possibilità per il cessionario di un credito di agire per inadempimento nei confronti del cedente, quando il credito non risulta assistito dalle garanzie reali promesse, ancor prima dell’escussione del debitore garantito. A tale quesito occorre dare risposta affermativa. Poiché la garanzia reale costituisce un diritto autonomo, ancorché collegato, rispetto al credito ceduto, non vi è dubbio che il creditore cedente che trasferisce al cessionario un credito e, con esso, tre ipoteche, di cui due risultano però estinte perché già escusse, si è reso inadempiente degli impegni contrattualmente assunti. Tale inadempimento è suscettibile di determinare al cessionario un danno autonomo rispetto a quello derivante dall’inadempimento. Infatti, il diritto di credito ha un “valore di circolazione”, in quanto può essere costituito in pegno, cartolarizzato, portato allo sconto, anticipato, ceduto, ecc. Detto “valore di circolazione” dipende non solo dall’importo nominale del credito, ma anche dal grado di solvibilità del debitore e dei suoi garanti (o delle sue garanzie reali) e dal tempo in cui sarà riscosso. In matematica finanziaria il valore di circolazione del credito si ottiene sottraendo dal suo valore nominale la “loss given default” (LGD), ossia la perdita attesa in caso di inadempienza. La determinazione del rischio di insolvenza dipende, ovviamente, anche dall’entità delle garanzie offerte e, quindi, risulta maggiore per i crediti chirografari e minore per quelli ipotecari. In realtà, con particolare riferimento ai crediti ipotecari, l’entità della LGD dipende dal tempo che occorrerà per liquidare l’immobile costituito in garanzia (time to liquidate, TTL) e dal ricavato della vendita forzata o (recovery rate, RR). In sostanza, il valore di circolazione del credito è un valore prospettico, predittivo, che esprime l’utilità che il creditore può trarre dalle vicende circolatorie del suo diritto e prescinde dalla misura e dal momento dell’effettiva riscossione, in quanto viene in rilievo in un tempo necessariamente antecedente a quello in cui il credito viene incassato. Queste sommarie (e, per ciò stesso, necessariamente approssimative) nozioni di elaborazione di base per l’elaborazione di un modello di rischio da inadempimento mettono chiaramente in evidenza che l’inesistenza o l’invalidità di una garanzia ipotecaria (così come di un pegno o di una fideiussione) incidono considerevolmente sul valore di circolazione del credito, giacché, in caso in inadempienza del debitore, rendono meno sicuri i tempi e la misura della riscossione forzata. Ne deriva, da un lato, che il cessionario può agire nei confronti del cedente che ha ceduto un credito in realtà sprovvisto delle garanzie promesse, senza bisogno di attendere l’esito della escussione del debitore ceduto, in quanto tale inadempienza è, di per sé, immediatamente causativa di un danno attuale al valore di circolazione del credito. Dall’altro, che il danno così cagionato deve essere parametrato, con giudizio necessariamente equitativo, alla misura in cui l’accresciuta prevedibile perdita in caso di insolvenza ha ridotto il valore di circolazione del credito. In altri termini, occorrerà ponderare la misura della probabilità in cui il debitore si renderà inadempiente e, nell’ambito di questa probabilità, prevedere quanto la mancanza della garanzia possa ridurre le aspettative di integrale soddisfazione del credito. Ad esempio, se il debitore è probabilmente adempiente e, comunque, è ampiamente patrimonializzato, il danno da riduzione del valore di circolazione del credito sarà minimo o prossimo allo zero; viceversa, se è altamente probabile che il debitore si riveli inadempiente (come quando la sua posizione sia stata girata “a sofferenza”, secondo l’espressione in uso nel settore bancario) ed egli è impossidente, la perdita del valore di circolazione del credito è quasi interamente pari al suo valore nominale. Per le ragioni sopra esposte, è irrilevante la circostanza che la cessione sia avvenuta pro soluto. Infatti, l’inadempimento della cedente riguarda l’esistenza delle garanzie che assistono il credito, o ti/ Vit’t non il nomen v:4mm del credito ceduto. Assume importanza, invece, l’eventualità che, nelle more del giudizio, l’azione esecutiva intrapresa dal cessionario giunga a conclusione. In questo caso non viene più in rilievo il valore di circolazione del credito (e con esso la possibilità di procedere alla liquidazione del danno secondo un criterio meramente prospettico), giacché sono venuti meno – per l’appunto – i presupposti per la circolazione. La liquidazione del danno cagionato dal cedente al cessionario corrisponde, piuttosto, alla minor somma fra l’eventuale incapienza del ricavato dell’espropriazione forzata (ossia alla parte del credito rimasta insoddisfatta) e il presumibile valore per il quale il cessionario avrebbe partecipato al progetto di distribuzione, qualora fosse stato possibile procedere alla vendita dei beni che avrebbero dovuto essere oggetto dell’ipoteca mancante. Quindi, per esemplificare, se il cessionario, nonostante non abbia potuto escutere la garanzia che il cedente aveva promesso, sia rimasto comunque completamente soddisfatto, il danno è nullo (fatta salva l’ipotesi in cui il cessionario dimostri di aver perso, a causa della mancanza della garanzia, l’occasione di cedere a sua volta il credito a terzi a condizioni per lui più convenienti, quantomeno dal punto di vista della tempistica di riscossione). Qualora, invece, egli sia rimasto insoddisfatto per 100, ma dalla vendita forzata del bene che avrebbe dovuto essere ipotecato non avrebbe potuto ottenere più di 50, è a quest’ultimo importo che occorre far riferimento per determinare il danno cagionato dalla nullità, estinzione, prescrizione o inesistenza dell’ipoteca. 3.5 In conclusione, nell’interesse della legge devono essere affermati i seguenti princìpi di diritto: “Nel caso di cessione del credito nominalmente assistito da una garanzia reale, qualora quest’ultima risulti nulla, prescritta, estinta o di grado inferiore rispetto a quello indicato dal cedente, il cessionario può agire nei confronti di quest’ultimo ancor prima di aver escusso il debitore ceduto, chiedendo il risarcimento del danno da inadempimento, senza necessità di domandare la risoluzione della cessione, poiché una diminuzione delle garanzie è in sé causativa di un danno patrimoniale immediato ed attuale, corrispondente alla diminuzione del valore di circolazione del credito”. “La liquidazione del danno da diminuzione del valore di circolazione del credito ceduto, derivante dalla mancanza di una garanzia reale promessa dal cedente, deve essere parametrata, con giudizio necessariamente equitativo, alla maggiore prevedibile perdita in caso di insolvenza. Tuttavia, qualora il cessionario abbia già riscosso il credito in sede esecutiva e sia rimasto insoddisfatto, la liquidazione del danno per il vizio che rende impossibile escutere la garanzia non può avvenire più secondo un criterio prospettico, ma corrisponde in concreto alla minor somma fra la parte del credito rimasta insoddisfatta e l’importo ulteriore che il creditore avrebbe potuto riscuotere in sede esecutiva se egli avesse potuto espropriare il bene che avrebbe dovuto essere oggetto dell’ipoteca mancante”. 4. L’esame del terzo motivo del ricorso incidentale è subordinato all’esito del secondo e concerne la determinazione del danno, dal quale sarebbe stato ingiustificatamente decurtato l’ammontare delle spese legali della procedura esecutiva (C 14.620,42), che invece non può essere considerato risultato utile dell’espropriazione forzata. Stante l’inammissibilità del secondo motivo, anche il terzo segue la stessa sorte. 5. In conclusione, il ricorso incidentale proposto dalla Banca Popolare di Sondrio deve essere dichiarato inammissibile. Divenuta, quindi, definitiva la condanna pronunciata a carico della Banca dalla Corte d’appello, maturano i presupposti logico- giuridici perché debba essere esaminato il ricorso principale del notaio chiamato in manleva.6. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1218 cod. civ. La censura poggia sulla premessa – sostanzialmente non controversa – che fu la stessa Banca Popolare di Sondrio ad escutere la garanzia ipotecaria, consumandola, nel corso di una precedente procedura esecutiva (della quale si è fatta già menzione, esaminando il ricorso incidentale). Pertanto, la Banca non poteva ignorare che le ipoteche che asseritamente assistevano il credito ceduto alla Aletti Fiduciaria erano state cancellate all’esito del trasferimento all’aggiudicatario di quegli immobili per sua stessa iniziativa. Invero, questa Corte ha già chiarito che deve escludersi la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di vincoli limitativi della proprietà su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato, quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva certamente dell’esistenza di quei vincoli (nella specie per averli costituiti), non ravvisandosi in tale ipotesi né la violazione del dovere di diligenza qualificata previsto dall’art. 1176 cod. civ., da doversi comunque interpretare alla stregua del canone generale di buona fede, né il nesso di causalità tra l’omessa informazione e la stipulazione dell’atto traslativo (Sez. 3, Sentenza n. 25111 del 24/10/2017, Rv. 646024 – 01). Il principio deve trovare applicazione anche nell’opposta ipotesi in cui il notaio attesti l’esistenza di formalità pregiudizievoli (nella specie, di iscrizioni ipotecarie) che la parte che agisce nei suoi confronti sa non essere più esistenti, per avere essa stessa promosso l’azione esecutiva all’esito della quale ne è stata ordinata la cancellazione. Ovviamente, il notaio avrebbe potuto essere chiamato a responsabilità dalla parte cessionaria del credito, che invece confidava incolpevolmente sulla bontà di quelle iscrizioni ipotecarie. Ma ciò non è avvenuto e, poiché la domanda risarcitoria nei confronti del notaio è stata esperita solamente dalla banca cedente, la domanda doveva essere respinta. Pertanto, il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto, con assorbimento dei restanti. 7. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, è possibile pronunciare nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., rigettando la domanda proposta dalla Banca Popolare di Sondrio nei confronti di L Z. A carico della parte che ha chiamato in causa il notaio – e che è rimasta soccombente anche nei confronti dell’attrice – devono essere poste le spese legali dei gradi di merito e del giudizio di legittimità relative alla domanda di garanzia impropria. Sussistono, inoltre, i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante incidentale soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di manleva proposta dalla Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. nei confronti di L Z. Condanna la Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. al pagamento, in favore di L Z, delle spese del grado di appello, che liquida in euro 11.500,00, e delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.200,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

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STUDIO LEGALE AVVOCATO FRANCESCO NOTO COSENZA NAPOLI

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