L’accesso agli atti amministrativi prescinde dalla utilità dei documenti nella trasposizione giudiziaria

L’Alto Consesso Amministrativo ribalta una sentenza del TAR Calabria, ed afferma che, il diritto di accesso ai documenti, assume valenza autonoma, e non accessorio o dipendente dalla sorte del processo principale. Consiglio di StatoSEZ. III – SENTENZA 13 gennaio 2012, n.116

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – SENTENZA 13 gennaio 2012, n.116 – Pres. Cirillo – est. Dell’Utri

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7383 del 2011, proposto da:
Carmelo T., rappresentato e difeso dagli avv. Marziale Gidaro, Giuseppe Gidaro, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe Gidaro in Roma, via Tor Vergata n. 12;

contro

Azienda Ospedaliera ‘Pugliese-Ciaccio’ di Catanzaro, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Genovese, con domicilio eletto presso l’avv. Enza Stramandinoli in Roma, viale del Vignola n. 61;

nei confronti di

Florenza R., rappresentata e difesa dall’avv. Giacomo Carbone, domicilia per legge presso il Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO :SEZIONE II n. 00956/2011, resa tra le parti, concernente DINIEGO ACCESSO AI DOCUMENTI.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera ‘Pugliese-Ciaccio’ di Catanzaro e di Florenza R.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 il Cons. Angelica Dell’Utri e uditi per le parti gli avvocati Gidaro Giuseppe, Gigli su delega di Scoca, Genovese e Carbone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con istanza in data 11 gennaio 2011 il dott. Carmelo T., dirigente medico di I livello presso il reparto di dermatologia dell’Azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro, ha chiesto di accedere al decreto di nomina dell’avv. Florenza Russso a dirigente dell’ufficio legale di quell’Azienda ed al relativo contratto, nonché, in caso di concorso, di tutti i rispettivi atti (bando, atto di nomina della commissione esaminatrice, linee guida e verbali, graduatoria, atto di nomina della vincitrice). All’uopo ha premesso di aver in corso due giudizi davanti al Tribunale civile di Catanzaro al fine di conseguire dalla stessa Azienda l’uno il rimborso di € 20.400,00 per spese legali occorsegli in un giudizio civile instaurato dagli eredi di una paziente deceduta, l’altro l’integrale rimborso delle analoghe spese sostenute nel procedimento penale avviato a seguito di denuncia sporta dai medesimi eredi; che in entrambi i giudizi l’Ente si costituiva in giudizio tramite l’avv. Florenza R., la quale nel primo proponeva anche domanda riconvenzionale nonché redigeva un parere sottoscrivendolo nella qualità di “Dirigente” dell’ufficio legale aziendale; che avrebbe appreso informalmente che l’incarico dirigenziale all’avv. R. sarebbe stato conferito senza espletamento di concorso; che l’eventuale illegittimità dell’incarico, con consequenziale annullamento o revoca dello stesso, determinerebbe l’inefficacia del mandato e degli atti giudiziali posti in essere dal legale; che pertanto egli è titolare di interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti di cui si chiede di accedere.

Con nota datata 3 febbraio 2011 l’Azienda, ricordato il concetto di “interesse” richiesto dalla normativa in materia, ha negato l’accesso non ravvisando “alcun interesse meritevole di accoglimento, finalizzato a prendere visione o estrarre copia degli atti richiesti”; ciò in quanto “la richiesta e la ragione recata nella stessa come ‘motivazione’, adducendo quale interesse la domanda riconvenzionale presentata dall’AOPC nei confronti della S.V. per altro procedimento, contrasta con l’interesse di questa Azienda, poiché l’atto de quo, costituisce strategia difensiva di parte”.

Tale nota è stata impugnata dal dott. T. con ricorso davanti al TAR per la Calabria, che lo ha respinto con sentenza 6 luglio 2011 n. 956, rilevando l’assenza in capo al dott. T. di titolarità di una posizione soggettiva meritevole di tutela in ordine alla conoscenza degli atti inerenti l’assunzione della dott.ssa R., posto che non è personalmente interessato alla rispettiva procedura né l’instaurato contenzioso lo legittima al riguardo.

Di qui l’appello in epigrafe, col quale il dott. T. deduce laconicità ed insufficienza di motivazione della sentenza appellata, riproponendo i motivi formulati in primo grado ed insistendo, tra l’altro, sulla sussistenza del collegamento tra la propria posizione e la documentazione oggetto della richiesta, la cui mancata conoscenza gli impedirebbe di esercitare il proprio diritto di agire giudizialmente e al contempo di meglio difendersi nei giudizi civili già incardinati; d’altra parte la stessa Azienda, nell’affermare un conflitto di interessi circa la domanda riconvenzionale, ha implicitamente ammesso la presenza di un interesse apprezzabile dell’istante, seppure in contrasto col proprio. Si è altresì doluto della condanna al pagamento delle spese di primo grado.

L’Azienda e l’avv. R. si sono costituite in giudizio e, eccepita l’inammissibiltà dell’appello sia in quanto privo di censure precise e sostanziali alla sentenza di primo grado, sia per carenza di interesse, ne hanno sostenuto comunque l’infondatezza nel merito, nonché la pretestuosità e temerarietà ai sensi degli artt. 96 cod. proc. civ. e 26, co. 2, cod. proc. amm..

In data 22 novembre 2011 il dott. T. ha prodotto “atto di costituzione di ulteriore difensore e memoria difensiva”. All’odierna udienza camerale il difensore dell’avv. R. ne ha eccepito la tardività.

Ciò posto, va in primo luogo respinta l’eccezione di inammissibilità per genericità dell’appello in esame giacché l’appellante non è limitato a riproporre le doglianze avanzate in primo grado, ma ha diffusamente criticato le argomentazione esposte in sentenza. Quanto all’eccezione di carenza di interesse, essa si basa su considerazioni che attengono al merito piuttosto che al rito.

E nel merito l’appello è invece fondato.

Secondo principi pacificamente accolti dalla giurisprudenza amministrativa, la necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto di accedere, non significa che l’accesso sia stato configurato dal legislatore con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante; esso assume invece una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre (cfr. tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 23 febbraio 2010 n. 1067).

Ed invero, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, a norma dell’art. 22, co. 2 della stessa legge (come sostituito dall’art. 15 della legge 11 febbraio 2005 n. 15) costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi. In quest’ottica, il “collegamento” tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza, di cui al cit. art. 22, co. 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2010 n. 3309, 10 gennaio 2007 n. 55 e 7 settembre 2004 n. 5873).

Nella specie, non v’è dubbio che il dott. T. debba ritenersi legittimato all’accesso in quanto titolare di una posizione giuridicamente rilevante e di interesse fondato su tale posizione, qualificato dalla pendenza degli indicati processi civili in cui va individuato il necessario nesso di strumentalità.

Né evidentemente i documenti di cui trattasi attengono a “strategie difensive” dell’Azienda, per cui potrebbero ritenersi sottratti all’accesso a salvaguardia appunto della strategia processuale e del segreto professionale. Neppure rileva che l’attuale appellante non potrebbe mai impugnare la nomina della controinteressata, non potendo aspirare a ricoprire l’incarico di dirigente dell’ufficio legale e stante il decorso dei termini di impugnativa, oppure che, ove in ipotesi la nomina fosse realmente illegittima, ciò non inficerebbe la difesa nei giudizi pendenti poiché il mandato sarebbe ugualmente valido, ovvero ancora che comunque il mandato sia stato conferito congiuntamente e disgiuntamente anche ad altro difensore. Tanto perché tali argomentazioni attengono all’eventuale inammissibilità o infondatezza delle domande giudiziali che il dott. T. potrebbe proporre sulla scorta dei documenti richiesti; inammissibilità o infondatezza la cui incidenza sul diritto di accesso è da escludersi per le ragioni indicate innanzi e perché il relativo apprezzamento spetta al giudice in ipotesi investito delle dette questioni.

Inoltre, stanti la sussistenza del predetto nesso di strumentalità, nonché la puntuale limitazione del chiesto accesso mediante indicazione dei contenuti dei documenti che ne formano oggetto e del procedimento in cui si collocano, la richiesta di cui si controverte non può essere considerata per come emulativa e diretta al controllo generalizzato dell’attività amministrativa, nel qual caso l’accesso sarebbe precluso.

Infine, neanche possono essere opposte all’interessato ragioni di riservatezza, in quanto gli atti in parola, per un verso, come già sottolineato non incidono sul segreto professionale; e, per altro verso, pur riguardando la sfera personale dell’avv. R., non possono comunque essere negati dal momento che la tutela della riservatezza dei terzi è destinata a recedere a norma dell’art. 24, co. 7, della legge n. 241 del 1990 e ss.mm.ii. nel caso, qui ricorrente, in cui i documenti siano necessari – nel senso sopra precisato – per curare o difendere gli interessi giuridici del richiedente.

In conclusione, in accoglimento dell’appello la sentenza appellata va riformata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del diniego di cui alla nota 3 febbraio 2011 dell’Azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” ed ordine alla medesima Azienda di esibire gli atti di cui all’istanza del dott. T. in data in data 11 gennaio 2011.

Tuttavia, la peculiarità della vicenda consiglia la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla l’impugnato diniego di accesso ed ordina all’Azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di esibire gli atti richiesti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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